Itinerario di 40 giorni da Santo Domingo a Port au Prince e ritorno
Nel 2014 ho viaggiato con il mio ragazzo nella Repubblica Dominicana e Haiti, zaino in spalla e mezzi pubblici. Come al solito abbiamo lasciato l’Italia senza avere un itinerario preciso in mente, decisi a farci guidare dalle nostre sensazioni lungo la strada.
Siamo arrivati a Santo Domingo dopo un lungo viaggio con una pausa di molte ore a New York, un volo lungo che ci ha fatto risparmiare un po’ di soldi ma ci ha anche stremati.
Santo Domingo è la capitale della repubblica, una bella città con architettura coloniale interessante. Può anche spaventare in alcune aree, in particolare attorno al Parque Enriquillo, dove partono gli autobus che girano per il paese. Luca era un po’ scosso il primo giorno, prima di allora aveva girato solo in Europa, non era abituato al caos e al traffico disordinato e pericoloso.
Da Santo Domingo abbiamo deciso di andare a sud-ovest, vicino alla costa. Los Patos era descritta dalla Lonely Planet come la migliore spiaggia del sud. Quindi ci siamo andati, perché volevamo vedere zone diverse del paese. E in effetti si stava bene. C’erano pochissimi turisti stranieri, molti turisti locali, quindi la destinazione ideale per chi cerca questo, mentre nel nord ci sono molti più turisti internazionali ed è forse un po’ meno autentico.
Dopo Los Patos siamo andati a Pedernales, vicino al confine con Haiti. Da lì abbiamo fatto una gita a Bahia de Las Aguilas, un parco naturale con una delle spiagge più belle in cui sono stata, raggiungibile solo in barca. Eravamo vicino ad Haiti, ma ancora non avevamo deciso se passare il confine o no. Tutti quelli con cui parlavamo sconsigliavano di andarci, perché era pericolosa e cara. Probabilmente è stato proprio questo a convincerci ad andare. E la vera avventura iniziò.
Il viaggio avventuroso ad Haiti
Appena dopo il confine abbiamo dovuto passare la notte su una barca per arrivare al primo paese haitiano, perché andare via terra avrebbe richiesto qualche giornata.
La prima tappa ad Haiti fu Jacmel, una cittadina di artisti molto carina sulla costa sud, che portava ancora i segni del disastroso terremoto del 2010.
Qui abbiamo avuto un anticipo di come sarebbe stato viaggiare ad Haiti: sporco, caotico, quasi impossibile prelevare soldi.
Da Jacmel abbiamo preso un tap-tap per Port au Prince e da lì direttamente a Port Salut. Fu il primo dei molti lunghi viaggi che avremmo dovuto affrontare ad Haiti. Usare i mezzi pubblici non è facile ad Haiti. Ogni volta impiegavamo moltissime ore per fare qualche centinaio di chilometri. E’ probabilmente il lato peggiore del viaggiare zaino in spalla ad Haiti, perché si perde un sacco di tempo e ci si stanca molto.
Port Salut è un luogo di villeggiatura carino, calmo e rilassato. Da qui siamo andati a Les Cayes in giornata, con l’idea di fare un salto anche all’Ile de Vache, ma i ritardi causati dai trasporti e dalla ricerca di un bancomat ce l’hanno impedito.
Dopo Port Salut siamo saliti a Port au Prince, la capitale. Il primo impatto non è stato dei migliori, in quanto appena arrivati un ragazzo ha cercato di rubare dalle nostre tasche e dallo zaino. Il centro di Port au Prince non è male, a parte il caldo e la polvere, ma appena fuori dalle strade e piazza principali è un casino e per niente rassicurante. Comunque abbiamo visto un po’ di arte Vudù, che era il motivo principale per cui volevo venire ad Haiti.
Da Port au Prince un altro luuuungo e pauroso viaggio fino a Cap Haitien. Cap Haitien sarebbe anche carina e pulita, molto diversa dalla capitale, pur essendo una città grande. Ma questo nel centro, appena fuori c’è un canale pieno di rifiuti, un gran brutto vedere.
Da Cap Haitien abbiamo passato la frontiera per tornare in Repubblica Dominicana (quindi praticamente siamo entrati ad Haiti da sud e usciti da nord; c’è un altro passaggio al centro, lungo una strada che collega le due capitali, se non sbaglio).
Un viaggio zaino in spalla molto più facile in Repubblica Dominicana
Che bella sensazione essere di nuovo in Repubblica Dominicana! Ci siamo resi conto di quanto sia stato difficile viaggiare ad Haiti. La Rep Dom è molto più economica, è molto più facile girare, cibo e caffè sono disponibili praticamente ovunque, si può prelevare denaro da qualsiasi bancomat, gli hotel sono puliti. Ora, qualche anno più tardi, sono felice di quella esperienza ad Haiti, ma non so se riuscirei a rifarla, è stato veramente stancante. Probabilmente è più semplice se hai soldi e puoi noleggiare un’auto o un autista. Cap Haitien comunque è stato il posto più carino.
Arrivati in Repubblica Dominicana abbiamo passato alcuni giorni a Monte Cristi, per riprenderci e rifocillarci. Da qui siamo poi andati a Santiago e Constanza, sulle montagne.
Dopodiché solo spiagge. Ed ogni posto è stato piacevole e accogliente.
La prima spiaggia è stata a Cabarete, un posto per amanti del surf. Era il primo posto dove incontravamo tanti turisti stranieri; tutta la costa nord ha molti turisti stranieri, in particolare dagli Stati Uniti (e anche molti italiani e francesi che si sono trasferiti lì dopo la pensione). A Cabarete ho mangiato la miglior colazione della mia vita.
Siamo andati ad ovest fino a Rio San Juan, dove non c’è molto da fare o da vedere, ma che ho amato, forse proprio per la sua atmosfera rilassata. Dopodiché siamo passati alla penisola di Samanà, con Las Terrenas e Las Galeras. Carino, molto turistico.
Da qui abbiamo attraversato il paese e siamo passati alla costa sud. Avevamo valutato l’opzione di stare un paio di giorni in uno dei resort full inclusive della costa est, pagare 80 dollari al giorno per prendere il sole e abbuffarci (si mangia molto pollo in Repubblica Dominicana, a un certo punto hai proprio voglia di qualcosa di diverso), ma non ci era rimasto molto tempo e così siamo andati direttamente a sud.
Boca de Yuma è carina ma Luca non si sentiva molto bene (anzi, proprio male, mi ha spaventata), quindi non ce la siamo goduta tanto. Da lì a Juan Dolio, ultima tappa. Siamo stati in questo paesino lungo il mare fino al volo di ritorno e abbiamo fatto una gita di una giornata a Santo Domingo, dove si celebrava la Pasqua. Quanto siamo arrivati in Repubblica Dominicana non ci siamo fermati a lungo a Santo Domingo perché pensavamo di tornarci prima della partenza. Invece quando siamo stati a Juan Dolio ci hanno consigliato di rimanere lì a dormire e di fare solo una gita a Santo Domingo. E non è stata una brutta idea.
Ripeterei questo viaggio tra Repubblicana Dominicana e Haiti? Sì, e probabilmente rifarei un itinerario simile. So che Haiti è stato un incubo, ma vorrei vedere se è cambiata la situazione. Gli Haitiani non meritano di vivere così.
7.25 Siamo in stazione a Cap Haitien, sul caldissimo tap-tap per Ouandinthe, sul confine. In teoria sono 3 ore di viaggio. Speriamo. Siamo anche belli pieni, pronti a partire. Colazione al Croissant d’Or. Bello tornare in un posto conosciuto, ti fa sentire a casa. C’è puzza di piedi qui dentro. Comincio a pensare che siano quelli di Luca! Solita confusione e tanta immondizie, sulle strade e nel canale. Un peccato, visto che il centro città era così pulito e ordinato, un tale contrasto rispetto Port-au-Prince!
Poco dopo la partenza ci siamo fermati per gonfiare una ruota. Per fortuna ci sono sti meccanici lungo la strada che in pochi minuti sistemano tutto. Chiamarli “meccanici” forse è un po’ troppo. Hanno due ferri e un compressore a benzina, senza un’officina o un ufficio. Fanno tutto sul ciglio della strada in pochi minuti, non c’è neanche bisogno che l’autista spenga il motore.
9h44: Au revoir tap-tap et “Dieu tout Pouissant” (stampato ovunque, dai tap-tap alle banche, sui muri delle case, a caso…), bienvenidos gua-gua e “Cristo ya viene”. Siamo a DAJABON, sul gua-gua per Monte Cristi, la nostra destinazione finale per oggi. Speriamo che l’hotel sia decente perché abbiamo bisogno di riposare un po’! Abbiamo perso qualche euro nel cambio dei gourdes in pesos (avvenuto per strada da un uomo a caso, un ufficio di cambio autorizzato non esiste), ma abbiamo risparmiato 40 dollari a testa venendo in tap-tap anziché con Caribe Tours: 25 dollari (-5 spesi da noi per i mezzi pubblici) per il pullman e 20 per la frontiera haitiana (all’ufficio del Caribe Tours ci avevano chiesto 30 USD per le tasse doganali: 10 per la frontiera dominicana, che abbiamo in effetti pagato, e 20 per la frontiera Haitiana, che invece non ci sono stati chiesti quando siamo usciti). Ci conferma che quando si viaggia con gruppi di stranieri tutti ne approfittano, è meglio arrangiarsi quando si può. Certo, magari il bus diretto era più comodo, ma ci è andata abbastanza bene dai. Il tap tap dopo mezz’oretta si è svuotato, e ora il gua-gua è climatizzato e comodo, ognuno con il suo posto assegnato. La Lonely Planet diceva che ci volevano tre ore per arrivare alla frontiera ad Haiti, invece in un’ora e mezza l’avevamo anche passata.
Che ridere, quando siamo arrivati a Ouanaminthe, appena scesi dal tap-tap siamo stati assaliti da una ventina di moto, tutti che ci volevano portare al confine. Luca è stato bravo, ne ha scansati un po’, si è acceso una sigaretta, mantenendo la calma. La moto dovevamo prenderla, ma a lui dava fastidio che ci avessero assaliti a quel modo. Io a vederlo così mi sono messa a ridere, sapendo come doveva essere in realtà super-nervoso, dietro la calma apparente, ed ho spiegato ai moto-tassisti che ci dovevano dare spazio o quello lì sboccava. Alla fine una moto a testa e con neanche un dollaro siamo arrivati alla frontiera. Primo ufficio e timbro per uscire da Haiti, qualche centinaio di metri lungo uno stradone, e la frontiera dall’altra parte. Seguiti da un gruppo di persone che volevano cambiarci le gourdes. Alla fine il primo ci aveva fatto l’offerta migliore e siamo tornati da lui.
18.30 MONTE CRISTI Che bello, che serenità! Ora mi rendo conto che Haiti non è stata per niente facile. Paghiamo 650 pesos per dormire, circa 12 euro, in una stanza senza finestre verso l’esterno, che quando scoreggiamo ci sentono alla reception, ma è pulita, spaziosa e profumata. Due caffè ci sono costati 30 RDS, che di là neanche in strada li pagavamo così poco. Abbiamo mangiato un piatto a testa con riso e capretto e sono stra-piena, non c’ero più abituata. Internet ovunque o quasi e libero, non come ad Haiti che dovevamo andare negli hotel di lusso e pagare. Gente cordiale che ti saluta e ti sorride per strada, nessuno di rabbioso o violento, gli autobus non hanno bisogno di rubarsi i passeggeri.
A Monte Cristi la spiaggia è un po’ lontana e niente di che, non credo che farò il bagno, ma in centro c’è gente ed è piacevole. Un supermercato con una corsia dedicata agli assorbenti, un bancomat funzionante a due passi dall’albergo. Non sembra neanche vero. La gente qui sta bene. Prima è passato uno con una Yamaha R1 (ha detto Luca). Siamo sul molo ora, si sta divinamente. Ci sono 4 uomini che si sono portati una cosa da bere e si sono messi in fondo al molo in attesa del tramonto. Belli.
Mezzogiorno a Cap Haitien. Siamo sul tap-tap (il retro di un pick-up) in attesa che si riempia e ci porti a Labadie. Ci siamo presi un po’ tardi perché ci siamo alzati con calma, siamo stati al Caribe Tours a prenotare il passaggio per la Repubblica Dominicana (ci hanno detto di presentarci direttamente domattina), e a fare colazione. E’ arrivata una vecchietta accompagnata da un vecchietto che portava una carriola con un sacco di zucchero e uno di riso. Montato tutto sul pick-up, sotto i nostri piedi. Finora Luca è l’unico maschio. Mancano ancora un paio di persone per partire (credo, ma qui non si sa mai quando considerano il tap-tap “pieno”).
La corrierona (comoda e diretta) per Santiago costa 25 USD. Andare con il tap tap costerebbe circa 20 USD in meno, ma sarebbe un viaggio più lungo e stancante, perché dovremmo prenderne uno fino alla frontiera, passare la frontiera a piedi e una volta in Repubblica Dominicana cercare il gua-gua per la destinazione successiva.
Ad Haiti ho visto un sacco di donne incinte. Tutte giovani però. Le vecchiette della mia età non se le fila più nessuno.
15h15 Pausa bibita al Cornier Bar, un albergo-ristorante-bar per stranieri. Questi due succhi ci costeranno più della cena di questa sera, ma ne avevamo proprio voglia ed è troppo bello bere qualcosa di fresco su queste poltroncine in riva al mare. Se voglio internet però devo pagare 3 USD. Nel parcheggio ci sono delle camionette dell’UNHCR. Poveri cooperanti?
I nostri succhi di lusso
Siamo stati a vedere la spiaggia dove si fermano le navi da crociera. Era circondata da una rete in metallo per tenere fuori gli intrusi. E noi insieme con altri haitiani eravamo lì a guardare i turisti che facevano il bagno e prendevano il sole come si guardano le scimmie allo zoo.
Eravamo un po’ più in là a fare il bagno, ma mentre ci asciugavamo è iniziato l’attacco delle zanzare. E ci sono un sacco di ricci in acqua, ho paura.
Siamo tornati a Cap Haitien con una moto (noi due e l’autista su una moto), perché pic-up non ce n’erano più. Non tanto comodo, su quella strada sterrata. Abbiamo fatto in tempo a fare un giretto per il paese: la piazza principale con il municipio (Delegation du Nord), le stradine con le case Gingerbread, il lungomare, il Croissant d’Or, un panificio-pasticceria (rarità). Cena con mezzo pollo a testa e yuca. Stasera abbiamo fame.
Piazza e municipio a Cap Haitien
Le 9 o le 10 di sera, non lo so. Luca è stanco e non gli va più bene niente. Cacchio, ho paura che sia nella fase “Maledetta la volta che t’ho incontrato” e che non sia per niente contento di aver accettato di partire con me. Spero gli passi in fretta!
6.30 am. Questa mattina ci hanno informati che c’è la colazione inclusa nel prezzo della camera. Quindi prima colazione, poi si parte. Ecco. Ingossà. Una buona frittatina col formaggio.
7.35 Ci toccherà arrivare col buio anche stasera? Siamo bloccati nel traffico, sembra Arzignano alle 8 del mattino, bloccata dalle auto delle mamme che portano i bimbi a scuola. Alle 6 faticavo ad alzarmi dal letto, ma dalla finestra giungevano i rumori della città già in fermento. Si svegliano decisamente presto in questo Paese, non c’è tempo da perdere!
Bloccati nel traffico mentre andiamo verso il centro di Port au Prince
School bus americani e altri bus con targa francese: probabilmente i Paesi Occidentali anziché buttare gli autobus dimessi li mandano qui, sotto forma di donazioni generose.
Due cose hanno decisamente più grosse che da noi: le macchine e le casse per la musica. Le poche macchine che girano sono per la maggior parte grandi pick-up, Cherokee o Jeep, e anche la bancarella più scassata ha delle casse giganti, magari vecchie decrepite dalle quali si sente un po’ malino, ma in ogni caso la musica dev’essere a volume altissimo.
Le 9. Sono fin troppo onesti gli haitiani. Sul tap-tap per il centro città abbiamo chiesto agli altri passeggeri come potevamo arrivare a Estacion O’Cap, dove c’è il bus per Cap Haitien. La signora di fronte a noi ha chiesto all’autista, che le ha risposto che ci avrebbe portati lui. Bene. Per fortuna poi la signora ha avuto l’accortezza di chiedergli quanto voleva. 500 HTG. Cosa? 8 euro?? Gli altri passeggeri si sono indignati tutti. Un altro signore ci ha detto che bastava scendere alla Grande Rue (la strada del Marché de Fer, dal nome regale ma che in realtà è tra le più sporche e incasinate di PAP) e prendere un altro tap-tap che ci avrebbe portati alla stazione per 10 HTG. Ok. Così facciamo, prendiamo l’altro tap-tap e quando arriviamo, io che ho sempre pagato 15 HTG finora sui mezzi di PAP (circa 0.30 euro), gli do 30, per due persone, e lui mi restituisce 20, perché erano solo 5 a testa. Vabbè, con 20 HTG magari non ci faceva niente, però ha dimostrato di essere onesto.
Alla stazione troviamo subito un bel corrierone scassato strapieno di gente, ci fanno salire dal retro per darci gli ultimi posti disponibili, ed è ora di pagare. Sul biglietto c’è scritto 200. 200 che? Gourde, ho pensato io. Non possono essere 20 USD spero! No. Mostriamo 500 HTG e non vanno bene. Sono 1000 HTG. Ah ok, erano 200 dollari haitiani. Uff? che casino. Qui hanno la doppia moneta (più il dollaro americano negli hotel ed in frontiera). A un certo punto della storia di Haiti il dollaro americano valeva 5 HTG. E’ diventato talmente comune parlare in dollari che usano l’espressione tuttora che il dollaro vale 44 HTG. E’ diventato dollaro haitiano. Non è una moneta diversa, si paga sempre con le stesse banconote stracciate, ma per dire 1000 HTG si dice 200 dolars. Per esempio a Port Salut dovevamo pagare 700. Non avevano da darci il resto di 300 HTG, quindi la cameriera ha chiesto al gestore se aveva 60 dollari. Il tipo che ci ha fatto salire sul bus, uno dei tanti che sopravvivono aiutando i bus a raccogliere i viaggiatori in stazione, era tornato per chiederci altri soldi, ma la gente attorno a noi ci ha aiutato a mandarlo via.
Corriera super piena
Dalle casse della corriera esce una musica che spacca i timpani. Speriamo si parta in fretta perché ci aspetta un lungo viaggio.
Tutto attorno alla corriera ci sono bancarelle con cosmetici, bibite e qualcosa di fritto. Una signora che mi ha visto che dal finestrino dell’autobus cercavo delle bibite, ha informato il venditore. Una 7up e un’acqua 6 dolars. Gli do 100 HTG. Non ha da darmi il resto (qui non hanno mai il resto). “Aspetta”, mi fa. Vedo che parte. Per me potrebbe anche non tornare più e tenersi il resto, il bus partirà presto e ciccia il mio resto, e poi in alcuni ristoranti per turisti abbiamo pagato 100 HTG per una bibita sola. Ma lui no, dopo un po’ torna con i miei soldi.
Venditori all’estacion O’Cap
Sono passati 30 minuti e siamo ancora qui, più caldi e stretti che mai. Quando siamo saliti noi pensavo che la corriera fosse piena, invece hanno fatto sedere una terza persona per ogni due posti. I sedili sono mobili (= staccati), così se necessario si possono spostare verso il corridoio per far sedere una terza persona. Una mezza chiappa nel corridoio a destra, una mezza a sinistra vicino al finestrino, e un intero al centro.
Ogni tanto sale qualcuno che fa un lungo discorso di presentazione di quel che vende. Tutti ascoltano con attenzione. Una ragazza è riuscita a raccogliere 20 HTG e ci delizia con una canzoncina (oggi è la giornata contro? boh, non ho capito). Un altro è riuscito a vendere un inalatore. Il balsamo di tigre invece non va tanto.
Partita la musica sacra. Tra Les Cayes e PAP ci siamo fatti 12 ore di musica religiosa (Dieu qua e Dieu là), con il ragazzo che raccoglieva i soldi del biglietto che ogni tanto si metteva a cantare e mimare la canzone, tanto era preso.
10 circa. Siamo partiti da 15 minuti e ci ha fermati la polizia. E perché mai? Saremo mica sovra-affollati con troppa roba sul tetto, su un bus che sta andando a pezzi e che corre troppo??!
Respiro durante una sosta per gonfiare la ruota
12.35 Iniziata ufficialmente la caccarella. Siamo fermi per un problema non meglio identificato. Da quando abbiamo lasciato PAP un tipo ha passato due ore a esporre dettagliatamente i suoi prodotti ed è anche riuscito a vendere qualcosa. Poi ci siamo fermati a fare pipì (mentre gonfiavano un po’ una delle gomme centrali), io ho scagazzato mentre tutti mi guardavano (non c’era neanche una pianta a nascondermi) e siamo ripartiti con la musica. Ora siamo fermi di nuovo. Intanto devono capire qual è il problema. Impossibile dormire su questa corriera. Non capisco perché debbano correre così tanto. E il clacson suona di continuo per avvertire: “sto arrivando e meglio che ti scansi perché sono talmente lanciato che se ti vengo addosso ci spacchiamo entrambi”. Frenano solo se dall’altra parte arriva un camion/carro armato. Ho paura di avere ancora la caccarella che scende, da quanto era liquida. Ci siamo fermati altre due volte per gonfiare la ruota centrale. Tra la paura di ribaltare, lo sforzo per tenermi aggrappata con tutti sti salti e la fatica di tenere i muscoli in tensione per non farmela addosso, questo viaggio è uno strazio.
Mi consola solo la vista dal finestrino: bei paesaggi aridi, palme e cactus alti 6 metri.
20h35 Cap Haitien. Credevo che oggi sarei morta. Mi ha quasi fatto bestemmiare. Pazzo di un chauffeur. Su strade scassate, con un bus scassato dalla tenuta meno di zero e una ruota sgonfia, correva come un pazzo, con brutti dirupi a lato della strada. E comunque anche sul piano, con tutte quelle buche sarebbe stato un attimo ribaltarsi. Alcuni passeggeri mostravano fiducia nel loro autista ed erano tranquilli, altri ogni tanto si lamentavano, ma inutilmente.
Dalla strada ho notato che nel fiume si lavano, lavano l’automobile, lavano i vestiti che poi mettono ad asciugare sui sassi della parte asciutta del letto del fiume, sull’erba davanti a casa, sul tetto di casa o sulle siepi di cactus.
Contenta di essere arrivata a Cap Haitien e di aver trovato facilmente l’albergo. Cap Haitien sembra molto carina, pulita e ordinata rispetto a PAP. L’hotel costa poco, ma è uno schifo, viene usato anche ad ore dagli innamorati, la stanza è minuscola, rumorosa e puzzolente, ma dopo il viaggio di oggi mi sembra il paradiso.
Sembra quasi di stare in America. Ci sono molti “blancs”, edifici più alti di un piano, supermercati su due piani, negozi di vestiti e addirittura bancomat che funzionano! Abbiamo fatto colazione alla patisserie francaise del supermercato. Una pasta e un caffè che ci son costati più che in Italia, ma ce li siamo meritati!
La pasticceria del supermercato
Qui a Petionville si gira veramente tranquilli. E’ la zona dove vivono gli expats (stranieri trasferitisi qui) e gli haitiani più agiati. E’ anche la zona dove ci sono gli hotel più decenti. Ora vediamo com’è giù in paese 🙂
Petionville – vendita al dettaglio
15h30 Hotel Oloffson. Siamo qui a riprenderci dopo la lunga camminata in giro per PAP. Più che altro fa caldissimo e abbiamo i piedi pieni di polvere. L’Oloffson è un’istituzione a Port-au-Prince, un hotel antico in stile gingerbread (pan di zenzero). E’ fuori dalla nostra portata, per pernottarci, ma per una bibita e riprendere fiato ci sta. All’interno ha un murales bellissimo e una zona dove suonano i gruppi. All’esterno è tutto bianco, con dei tavolini sulla veranda e un bel giardino con piscina attorno.
Abbiamo fatto un bel giro finora. Abbiamo preso il tap-tap che ci ha portati fino alla città. Siamo stati a vedere i resti della cattedrale, dove in mezzo ai ruderi stavano facendo una cerimonia.
Rovine della cattedrale di Notre Dame a Port au Prince
Per arrivare al Marché de Fer, l’antico mercato, meno incasinato di quello di Jacmel, ci siamo persi per una zona poco rassicurante – beh, tutta PAP appena fuori dalle strade attorno alla piazza principale è poco rassicurante. Al Marché de Fer vendevano tante scarpe e cosmetici, capelli finti e tartarughe vere, bamboline per il vudù, yoghurt lasciati a fermentare al sole, ricambi per le automobili (gomme termiche, pezzi di motore, ecc.). Oltre alla parte coperta del mercato, dentro due edifici speculari dal tetto di ferro, ci sono migliaia di banchi (o semplicemente scatole accatastate sulla strada) anche nelle strade circostanti, con dei teli a proteggere dal sole i venditori appisolati tra le proprie merci; e per arrivare alla parte coperta si passa per forza sotto a questi teli, piegati a metà perché sono ad appena un metro e mezzo da terra.
Lasciato il mercato abbiamo camminato verso sud lungo il Boulevard Jean-Jacque Dessalines, una delle arterie principali di Port-au-Prince. Lungo la strada si vedevano meccanici al lavoro, gommisti, venditori di tutti i tipi (bibite, cosmetici, tavole e sedie). Comunque abbastanza tranquillo, a parte il caldo e lo sporco. E’ un’altra cosa passeggiare in pieno giorno senza zaini attorno.
Autista/meccanico al lavoro lungo Boulevard Jean-Jacque Dessalines
Siamo stati a vedere il centro degli artisti di strada con le loro opere vudù. “Perché fanno tutte paura?” Chiedo ad André Eugéne, il fondatore/maestro del centro. “Ma quali ti fanno paura?” mi chiede lui, come se fossero tutte opere normali da esporre in casa, come se un ciccio bello trafitto allo stomaco o un pupazzo con dei paletti negli occhi fossero dei simpatici soprammobili. Queste creazioni dovrebbero tenere lontani gli spiriti maligni, ma a me sembra che portino gli incubi.
Volevamo anche fare un giro al cimitero, ma era chiuso.
Lasciamo quest’oasi di pace e frescura, dove tre limonate ci son costate 9 euro, un’esagerazione per noi che abbiamo i soldi contati (ma ho approfittato anche di internet), per tornare nel casino e nella polvere.
16h45 Siamo nel parco principale di Port-au-Prince. Si sta bene ora: è un po’ più fresco, c’è una bella brezza che non sa di plastica (siamo a poche centinaia di metri dal mare, ma durante le ore centrali della giornata non si sente). Poco distante da noi c’è un gruppetto raccolto attorno ad un oratore, ogni tanto si esaltano ed applaudono. Dall’altra parte ci sono i bagni: se fai solo la pipì sono 5 gourde, se fai anche la cacca il costo per l’uso del gabinetto raddoppia. Ma qualcuno entra a controllare cos’è stato fatto?
Cacca o pipì?
23h Domani allora si riparte. Devo ammettere che anch’io sono un po’ provata da tutti questi giorni di lunghi viaggi, che non mi aspettavo di fare qui, e ho paura di quel che ci aspetta domani. 7 ore, sulla carta, per Cap Haitien. Un’orchestra in strada. Direi che è l’ora giusta per mettersi a suonare trombe e piatti e cantare in strada. Cosa staranno festeggiando? Non so e non mi posso informare, sono in camera, al terzo piano.
BRIVIDO stasera, mentre stavamo tornando verso Petionville. Erano le 6 e da un locale dove stavano ballando, parte “Un’estate italiana”; con i veri Bennato e Nannini (pensavo fosse un remake). Ho sempre amato questa canzone. Mi metto a cantarla mentre camminiamo, un po’ emozionata, rallentando il passo per gustarmela il più a lungo possibile, e mi viene incontro tra la folla un haitiano che canta pure lui ad alta voce. Pelle d’oca.
6.32 am, Les Cayes
Ho i capelli un po’ scompigliati. Oggi siamo partiti in camion. Uno di quei camion aperti, dove fanno salire merci e persone. Noi abbiamo preso gli ultimi spazietti sulla panca di legno. Gli altri dormivano sopra mucchi di scope fatte con le foglie di palma di cui era pieno il camion. Per fortuna qui non sono tanto abituati a correre in discesa come in altri posti che ho visitato; sul piano e in salita però ci danno dentro, e più è grande il mezzo, più corrono.
Ci siamo svegliati alle 4.45. Il tipo ieri sera ci aveva detto che loro si svegliano sempre alle 4-4.30. Alle 5 eravamo lì che chiamavamo e bussavamo ovunque, ma nessuno è venuto ad aprirci i cancelli. Così abbiamo scavalcato il cancello alto circa 2 metri (io con un po’ di difficoltà ed imbarazzo) e appena ci siamo messi in strada ci hanno caricati sul camion. Non comodissimo, ma meglio della moto. Comunque la gente si sveglia veramente presto qua. Alle cinque, ancora buio, c’era già chi portava scope, chi assi di legna, chi andava al lavoro.
Fuori dai centri più grandi non ci sono distributori di benzina; per le strade si vedono ragazzini con tanichette di benzina, gasolio e olio. Se invece sul ciglio della strada c’è una bottiglia di rum, vuol dire che lì si può fare il pieno di quest’altro carburante. Le 6.45 e comincia a schiarire.
Le grandi città son anche l’unica possibilità per noi stranieri di prelevare denaro. Fuori da Port-au-Prince le banche sono poche, e se anche c’è il bancomat, non accetta carte straniere. Bisogna sperare che la banca abbia un POS da cui avere un anticipo sulla propria carta. Accettano però solo visa e solo con il chip. Il che vuol dire che delle mie 3 carte ne va bene solo una. Spero di non finire i soldi prima di uscire da Haiti.
Il camion ci ha lasciati a Les Cayes, dove ora stiamo aspettando il bus per Port-au-Prince. In realtà il bus è già qua. L’autista stava dormendo sul suo sedile, ma ci ha aperto per permetterci di mettere giù gli zaini. Dopodiché siamo andati a fare colazione con i tassisti e gli altri disperati. Un buon panino con burro d’arachidi piccante e caffè al gusto di miele da quanto è dolce. Qua vicino c’è una corriera con la musica alta, alle 7 di mattina. Si tengono ben svegli gli autisti, ma i passeggeri? Magari vorrebbero dormire… A un certo punto si sono messi tutti a ballare. La donna mentre versava il caffè, il figlioletto di 6 anni che le da’ una mano prima di andare a scuola, quell’altro col panino in bocca. Una bella scenetta.
Ho già visto due limousine questa mattina. Forse qualche riunione governativa in qualche hotel di lusso a Port Salut? Una è passata proprio vicino a un tipo che camminava senza scarpe. Il divario.
Speriamo di non dover attendere 4 ore anche stamattina. Sarebbe bello arrivare a PAP a un orario decente e riuscire a vedere qualcosa. Che ridere, dopo essere stato qui, a Luca non farà più tanta paura Santo Domingo come i primi giorni.
Sono le 10 e non siamo ancora partiti. Litigano con gli altri bus (quelli scassati, il nostro è uno dei pochi con l’aria condizionata) per rubarsi i passeggeri. Tirano giù borse e sacchi dalle moto-taxi per costringere il passeggero a scendere e salire con noi. Sarebbe stato troppo bello partire presto. Perché tutti salgono sugli altri? Forse dovremmo andare anche noi? Costano meno? Partono prima? Mi sa che comunque sono bus che si fermano prima, non arrivano fino a PAP, quindi ci conviene stare qui. Comunque c’è abbastanza gente ora, si potrebbe partire, no?
21h50 Arrivati a Port-au-Prince finalmente. Che giornata! Alla fine il bus è partito a mezzogiorno, dopo 6 ore di attesa! Come se non bastasse il ritardo, per strada abbiamo trovato una manifestazione e siamo stati fermi un paio d’ore. Mentre gli altri scendevano per riparasi dal calore e chiacchierare sotto i pochi alberi, Luca non trovava pace, una sigaretta dopo l’altra. C’era chi viaggiava peggio di noi comunque, come si vede dalle foto. Le galline, poverine, che tortura!
In più arrivati a Port-au-Prince abbiamo fatto scendere tutti i passeggeri, con i loro mille sacchi, e il processo richiede un bel po’ di tempo. Alle 7 eravamo ancora in paese, che stava calando la notte. L’attesa mi ha regalato una scena bellissima però: il sole che stava scendendo bello giallo dietro il muro di polvere, la gente e il casino di Port-au-Prince. Per fortuna col bus ci hanno depositati giusto dov’era il tap tap per Petionville, il quartiere più turistico e borghese, dov’è il nostro albergo. Mi incuriosisce questo posto. Mi ha fatto meno impressione rispetto alla prima volta, quando abbiamo cambiato tap-tap qualche giorno fa.
Siamo arrivati a Petionville che era buio pesto. Siamo passati in mezzo al mercato, dove un tipo ha provato prima a mettere le mani in tasca a Luca, e poi attorno a me da dietro, ma Luca l’ha fermato. Non avevamo idea di dove fosse l’albergo, non c’è neanche la segnaletica che indica i nomi delle strade. Un ragazzino sordomuto ci ha accompagnati fino ad un hotel di lusso in fondo alla via, che però non era il nostro. E’ stato molto gentile. Le guardie di quell’hotel ci hanno spiegato dov’era il nostro e dopo 15 minuti siamo arrivati. Che buona la sprite di benvenuto! Cenetta al ristorante dell’hotel, perché abbiamo paura ad uscire di notte in questa zona che non conosciamo, e poi subito a nanna che siamo stanchissimi. La stanza è un buco e ci costa 60 dollari a notte, ma almeno stiamo bene.
Visto che siamo arrivati tardi e siamo anche piuttosto stanchi staremo due notti, per visitare bene la capitale haitiana.