HAITI, JACMEL

18 Marzo, 12h43.

Luca ha sforzi di vomito continuo dopo il giro in barca di questa notte. Alla fine ci hanno portati ai barconi sulle spalle. E lo stesso per scendere a Marigot. All’inizio sembrava quasi carino: sdraiati comodi su dei sacchi, noi due abbracciati sotto le stelle, cullati dal mare… Poi la barca si è riempita, c’erano piedi e gomiti dappertutto, odori e chiacchiere, lamentele contro “les blancs” che si sono messi storti, 5 ceste piene di galline con tutto quel che ci va dietro, e quando la barca è partita si sono aggiunti il freddo e la paura di saltare fuori quando si piegava un po’ troppo contro un’onda. Ma siamo arrivati. Alle 4 di mattina per prima cosa ho fatto la pipì dietro una barchetta, poi abbiamo preso il primo gua-gua verso Jacmel. Non so a che velocità andasse, ma la strada era tutta dritta e non c’era traffico. Noi sul cassettone dietro, tutto aperto, col freddo vento della notte sulla faccia … e son anche riuscita a dormire, non so come. E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta.

Siamo arrivati a Jacmel verso le 6 del mattino. Troviamo subito l’hotel consigliato dalla Lonely Planet. Ma anche se c’è una tizia che ogni tanto esce, non entriamo subito perché abbiamo paura che ci facciano pagare una notte in più. E poi ci ha detto che costa 70 dollari. O ha detto 50? Boh, non li capisco. Comunque mentre eravamo là ad aspettare che passasse il tempo abbiamo visto la città svegliarsi. Anzi, era già bella sveglia quando siamo arrivati, tutti lì a dirci Port-au-Prince? Taxi? Moto? Comunque un po’ alla volta hanno iniziato a uscire le donne, i bambini che alle 6.30 erano già con la loro bella divisa e di corsa verso l’autobus, i vecchietti nei loro giri di vendite.

Verso le 7 ci decidiamo ad entrare. Al Guys Hotel la stanza non ha l’aria condizionata, la finestrella minuscola è su in alto, non si passa intorno al letto e il bagno è in comune con altri. Sembra di stare in India, solo che là una stanza così la paghi 5 dollari, non 50. Riposino subito, poi un’ora e mezza in banca a cercare di prelevare. L’unico bancomat del paese non funziona e per farmi dare un “anticipo” sulla mia Visa devo aspettare che la addetta finisca con un cliente, la quale però dopo un’ora e mezza che vede che ancora non ha finito ci fa la grazia di uscire, passa la carta su un pos, ritiriamo i soldi e in 5 minuti siamo fuori.

Jacmel ha 40.000 abitanti ma sembra più piccola di Arzignano.

Ci gira la testa, un po’ per il post-barca, un po’ per il sonno. Credo che l’Hotel Florita sia uno dei pochi posti in città con internet. Infatti ci sono alcuni giovani del posto con il loro laptop. E’ molto carino, all’interno di un vecchio edificio che visto da fuori sembra stia per cascar giù, il ristorante-bar è un gran salone con un albero in mezzo che esce da un buco sul tetto.

Hotel de la place Jacmel

17h13 Place Toussaint de l’Ouverture (Piazza Ognissanti praticamente). Fa ancora caldo. Per fortuna Jacmel è piccolina da vedere perché siamo tornati in albergo e ci siamo rimasti fino alle 3. E la stanchezza ancora non è passata. Ora siamo all’Hotel de la Place a bere un buon succo banana/fragola e a guardare la gente che passa per la strada (come dice di fare la LP).

Siamo passati attraverso il casino e le mosche del Marché de Fer, il mercato del paese, chiuso solo la domenica, dove la gente va a prendere tutto quel che le serve (non ho visto altri negozi in giro, neanche di quelli minuscoli che vendono sigarette, rum e poco altro; solo qualche bottega d’arte: Jacmel è la città degli artisti, quindi qui tutti un po’ lo sono, che vogliano o no!).

Penso che dei 40.000 abitanti di Jacmel la metà siano al mercato in questo momento, a vendere, a comprare, a chiacchierare, a guardare, a rubare, a curiosare. Comunque sembra che tutti i rifiuti del mondo si siano riversati qui per essere rivenduti. Vecchi pezzi di auto, vecchie radio, vecchie scarpe, vecchi ferri.

Nonostante tutto Jacmel è carina. E’ un po’ a pezzi, ha sofferto molto durante il terremoto e ancora si vedono macerie in giro. Però alcune casette sono molto carine e particolari.

Luca non vuole andare all’Ile-à-Vache (l’Isola della Vacca) perché ha paura di dover dormire per terra (a Ile-à-Vache ci sono due resort dove si pagano 200 euro al giorno oppure si può stare in casa con delle famiglie locali a 10 dollari circa. E io ovviamente propendevo per la seconda opzione). Mi fa tenerezza, si vede che sta un po’ male e non vede l’ora di tornare in Repubblica! Anch’io stavo meglio di là, e gli alberghi in cui siamo stati erano delle regge in confronto a quello odierno e costavano la metà; ma sono pronta a passare qualche giorno difficile, poi avrò comunque altre 3-4 settimane per rilassarmi.

Vendono l’acqua in sacchettini che contengono la quantità di un bicchiere. Ci succhiano fuori l’acqua e il sacchetto finisce per terra.

20h42 Siamo in albergo già da un’oretta. Stanchi morti. C’era la messa qui di fianco, con dei gran canti. Sono venuta ad Haiti per il vudù e la prima cosa che incontro è una celebrazione cristiana. Prima sulla spiaggia c’erano delle bimbe dai 5 ai 7 anni che provavano un balletto. Che brave a dimenare il loro fondoschiena e battere i piedi.