Dodoma

Dodoma

2 Giugno 2012

Mi sa che dovevo stare un po’ antipatica alla receptionist del Centro Cristiano di Dodoma perché mi ha dato la stanza più vicina alla strada (e le finestre non hanno vetri) e quando le ho detto che non c’era acqua in bagno mi ha risposto che è normale. Per fortuna il suo collega stasera mi ha mandato un secchio d’acqua tiepida per lavarmi. Hakuna Matata, l’hanno fatto per generazioni i miei antenati e lo fanno tuttora in molti, e mi sa che mi ci devo abituare perché il Sud della Tanzania non è per niente turistico e le infrastrutture e servizi son quel che sono. Devo anche stare attenta a non calpestare lo scarafaggione con le gambe per aria quando vado in bagno, ma pure quello non è un problema insuperabile.

Dodoma  mi piace. Nel raggio di 100 metri ci sono una chiesa Anglicana, una chiesa Luterana, una moschea, e questo centro di formazione per cristiani dove sto dormendo io. Dal 1973 è la capitale ufficiale della Tanzania, ma la scarsità d’acqua ha impedito che ci potessero traferire gli uffici. Solo il Parlamento si trova qui. Il centro politico ed economico della Tanzania resta Dar Es Salaam.

C’è un bel giardino nel bel  mezzo della città, dedicato a Julius Kambarage Nyerere, il Padre della Nazione, che ha guidato il suo Paese verso l’indipendenza dagli inglesi agli inizi degli anni 60 e ne è stato il presidente per vent’anni; oggi pomeriggio era pieno di gente e tende con donnine che misuravano la pressione.

Per cena ho mangiato frittata con le patatine. Praticamente la mia dieta da quando sono qui consiste in questo: riso e pollo con verdure, riso e maiale con verdure, riso con verdure, o frittata con patate. Ci sarebbe anche l’ugali , fatto con farina di mais, al posto del riso, ma non mi piace molto. Solo durante il safari c’era un menu un po’ diverso. Ah, che bello come eravamo trattati da principi. Nemmeno le tende ci dovevamo montare. Tutto quel che dovevamo fare era mangiare e farci portare in giro in macchina.

Adesso invece comincia la parte dura. Mi aspetta una settimana non facile. Da qui in poi le strade non saranno neanche asfaltate. Impiegherò una settimana a percorrere circa 1000 km. Sempre se trovo un mezzo di trasporto. Mal che vada torno indietro. Come quando stamattina ero a Katesh e alle 11.30 il mio bus non era ancora arrivato, quando era atteso per le 10. Ero un po’ preoccupata di non averlo visto o che fosse saltato per oggi. Per tranquillizzarmi ho pensato che nella peggiore delle ipotesi avrei dovuto passare un’altra notte a Katesh e prendere il bus per Dodoma il giorno dopo. Non sempre le cose vanno come si era programmato in questo Paese, ma basta essere flessibili e farsi trasportare dagli eventi. Comunque se tutto va bene alla fine della settimana sarò finalmente al mare!

GINA

GINA

Cerco di imparare un po’ di Swahili

2 Giugno 2012

Per ricordarmi cosa devo dire per chiedere ai bambini come si chiamano, penso a mia nonna. Gina lako nani? dove “gina” sta per “nome”. Così penso a mia nonna Gina e mi viene il resto della frase.

Ho approfittato delle lunghe ore passate in macchina durante il safari per imparare un po’ di Swahili. E’ una lingua bellissima e sembra che la Tanzania sia il posto migliore dell’Est Africa per impararlo. Un tipo mi ha detto che in due mesi riuscirei a impararlo decentemente. Io dubito. Però intanto imparo quel che posso.

Alcuni termini hanno influenze arabe. Per esempio cinquanta si dice hamsini, e in arabo cinque è hamsa o qualcosa del genere, se non sbaglio. Figlia è “binti”, come in arabo. Inoltre usano dei termini indiani, come “chai”, per il tè, o “chapati”, per il pane rotondo.

Ho faticato un po’ a capire come funzionano le ore, perché Laurence non era riuscito a spiegarmelo ed Emily mi aveva detto che non c’è una logica, son diverse e basta. Invece no. Una logica c’è. E neanche tanto difficile. Cominciano a contare dalle 6, l’ora in cui comincia la giornata, fino alle 18, l’ora in cui comincia la notte. Quindi le 7 son per loro l’una, le 8 sono le 2, e via così, fino alle 6. Poi si ricomincia. Con l’orario notturno. 1 di notte, 2 di notte e così via. Mi piace. Ci metto un po’ di tempo a capire cosa devo dire, perché il mio orologio segna l’ora di Greenwich, quindi devo prima aggiungere 2 ore per avere la mia ora locale e poi togliere 6 ore per avere l’orario in Swahili. Lo so che faccio prima a togliere 4 ore, ma provateci voi! Na saa tatu, sono le nove, ora di andare a dormire! In realtà sono le 9 e mezza, ma quello non mi ricordo ancora come si dice L

Barbaig

Barbaig

1 Giugno 2012

Ho pagato 110 dollari per dormire una notte in questa capanna. 

Barbaig hut in Tanzania

E’ un tour organizzato da un tipo di Babati. Puoi dormire una notte con i BARBAIG, una tribù rimasta con i costumi di 2000 anni fa.  Assomigliano un po’ ai Maasai. Come loro da guerrieri sono passati ad allevatori, hanno sti buchi enormi nei lobi delle orecchie, hanno sempre un bastone con loro e una coperta avvolta intorno al corpo. Come loro le donne vanno dietro alle bestie, ai figli e alla cucina, mentre gli uomini stanno al bar ad ubriacarsi con la birra locale fatta in casa.

E’ stata un’esperienza molto particolare. Ho dormito in cima Marana senza bagno né acqua, nel deserto con i beduini e i camellari, ma mai son stata così contenta di tornare in paese. Perché un po’ mi faceva star male vivere come loro. Vedere come i bambini stanno con la faccia sporca e mocciosa tutto il giorno, con i piedi resi insensibili da strati di terra, che non sanno neanche se avranno abbastanza da mangiare quest’anno perché non è piovuto abbastanza quando era ora.

Il mio ospite, Mr. Heluku, è piuttosto ricco, perché si è potuto permettere ben 2 mogli. La prima ha circa 80 anni, dalla quale ha avuto 3 figli che ora sono grandi e vivono per conto loro; la seconda ne ha 24, e i 3 figli hanno 2, 4 e 6 anni. Lui ne ha 70 circa. Un bell’uomo, orbo di un occhio. Haule, la guida, dice che le donne non sono gelose. Mmm…

Abbiamo camminato un’ora e mezza per arrivare qui. Non c’è il rischio che mi innamori di questa guida. Ha 57 anni e 20 cm meno di me. La capanna dove dormirò io è di solito del capofamiglia. Per l’occasione lui dormirà in cucina insieme alla guida e alla moglie anziana. Il letto è fatto da tanti bastoni di legno messi in fila, con un pezzo di pelle di capra per ammorbidire. Non ci sono porte né finestre. Se i cani dovessero entrare di notte mi hanno istruito di battere un bacchetto sul pavimento per farli uscire. Comunque posso stare tranquilla, tutto intorno al compendio ci sono delle siepi di rovi e chiuderanno i passaggi con dei rami durante la notte. Oltre alla mia capanna e alla cucina, ci sono la capanna della moglie giovane e i bambini, una per le capre e una per le mucche. La mia è stata costruita nel 1982. Non pensavo che un mix di rami, terra e paglia potesse durare così a lungo.

Abbiamo acceso un fuocherello dentro la mia capanna perché fa piuttosto freddino. Il capofamiglia non c’è. Le due donne stanno cucinando. Il bimbo medio ci intrattiene un po’. Sa solo poche parole di Swahili, quindi anche per la guida è difficile parlarci. Ma si diverte un sacco a fare ghirigori con la mia penna nel block notes.

La moglie giovane ha portato le bestie al pascolo, bimba piccola sulla schiena. Non sembra tanto felice. Haule dice che invece loro sono felici della loro vita, con le loro mucche e i loro pochi campi, senza acqua e senza corrente elettrica. Una capra si è girata a guardarmi e ha caccato. Io pensavo che facessero le cacchine piccole perché escono da un buchino piccolo, invece escono contemporaneamente 4-5 pettolette da quel bucone. Interessante.

Alle 19.15 finalmente arriva il capofamiglia. Con 3 amici. Tutti ubriachi. Sono stati al bar locale a bere la loro birra. Entrano con noi nella mia capanna e cominciano a parlare di niente, mi spiega la guida. Sono ubriachi e parlano senza senso. Dopo un po’ arriva la cena. Mi dispiace che il cibo che abbiamo portato noi debba sfamare anche queste tre persone in più. Non so se ne resterà per i bambini. Prima mangiano gli uomini (con gli stranieri ospiti, in questo caso), poi le donne e alla fine i bambini, se avanza qualcosa.

Poco dopo cena hanno deciso che era ora di andare a dormire e mi hanno lasciata lì. Pipì e denti a 2 metri dalla capanna, cambio di vestiti e dentro il sacco a pelo. La cucina è adiacente. Li sento come se fossero nella stessa stanza (in effetti pochi rami ci separano). Canticchiano delle canzoni che escono da una radiolina. Io da sola nel mio lettone fatto di bacchetti di legno, loro in 5 su un letto di dimensioni simili. La radiolina deve essere l’unica cosa elettronica che hanno. Ora cantano delle canzoni diverse da quelle che escono dalla radio. Il capofamiglia la scorsa notte non è neanche tornato a casa. Era fuori a bere con i suoi amici e avrà dormito a casa di uno di loro, come loro fanno stanotte a casa sua. Difficile trovarlo sobrio di pomeriggio. La scusa per il suo poco lavorare è che è ora in pensione. Non so se abbia mai lavorato veramente. Vedo che i bambini già a 3 anni sanno portare le bestie al pascolo, non c’è molto altro da fare. E quando non hanno niente da fare si ubriacano. Come gli uomini di Mtombu. Tanto la birra costa poco, 0,30€ per mezzo litro. E con un litro sei ubriaco. Spero di non prendermi pulci e pidocchi. Qui hanno tutti i capelli rasati, uomini e donne, per far presto. Per me sarebbe un po’ un casino. La radiolina si è spenta e loro continuano a cantare. Anche i bambini, a modo loro. Dormo. La sveglia è fra 11 ore. Bene.

1 Giugno 7.36am Ora di colazione. Ho dormito piuttosto bene considerate le condizioni. Mi sono svegliata dopo qualche ora perché uno dei cani mi stava mangiando una scarpa. E dopo ogni volta che volevo cambiare posizione mi svegliavo, perché il sacco a pelo è troppo stretto.

Gli uomini sono nella capanna del capo (dove io sono ancora dentro al sacco a pelo), donne e bambini in cucina. Colazione si fa per dire. Del pane e un po’ di tè. Quando finalmente riesco a far capire agli uomini che mi devo cambiare (loro non ci sono abituati, dormono e vivono negli stessi vestiti finché non son consumati), vado in cucina anch’io. C’è un micino minuscolo. La bimba più piccola aveva le gambe bagnate di pipì quando l’ho vista di fuori. Ho provato a farle il solletico sotto ai piedi ma non penso senta qualcosa.

La moglie anziana si sta lavando la faccia. Gli adulti ogni tanto si lavano, perlomeno faccia e mani. I bimbi che si devono arrangiare invece restano con i moccioli e la terra in faccia. Chissà se è più felice questo gatto o Cagliostro. Questo magari mangia poco ma almeno è libero di andare dove vuole. La vecchia ora lava le tazze per il tè nella stessa acqua che ha usato per lavarsi. Riciclano la stessa acqua per vari lavaggi perché devono fare tanta strada per prenderla. Li capisco, lo farei anch’io.

La vecchia non ha voluto che la bimba piccola usasse la penna. Sembra che tutti vogliano tenere i bambini lontani da me, non so se perché hanno paura che mi disturbino o perché non vogliono che provino interesse per cose che non possono avere.

Dopo colazione ci troviamo in cerchio io, la guida (che fa anche da interprete), il capofamiglia e un suo amico. Mi parlano un po’ della loro tribù. 

Hanno una loro religione, e 3 volte l’anno si trovano presso un “Albero di Fico” per pregare e celebrare (cioè ubriacarsi, traduco io).

Barbaig family in Tanzania

Possono sposare donne di tribù diverse, ma queste dovranno accettare di vivere secondo le loro abitudini. Una volta i matrimoni erano combinati, ora è l’uomo che decide. Dopo i 20 anni, 17 per le ragazze. Quando il ragazzo trova quella che fa per lui, le due famiglie si mettono d’accordo su quanto può valere la ragazza. Di solito una mucca e un toro (o il maschio della mucca insomma, che non so come si chiama). Più un uomo è ricco (cioè ha mucche con cui pagare), più mogli può avere, fino ad un massimo di 10. La cerimonia dura 3 giorni di festeggiamenti. I figli di solito nascono in casa. Non vengono registrati in nessuna anagrafe, ovviamente. Se l’amore finisce possono anche divorziare; la donna torna dai suoi genitori o altri parenti e si può anche risposare. I figli rimangono col padre. Quando una persona ricca muore, si danza in sua memoria ogni sera per 9 mesi. Praticano la circoncisione, sia per maschi che per femmine, anche se sarebbe vietata. Si fa ogni 3 anni, ed è un’altra occasione per celebrare. Quella dei maschi. Per quella delle femmine invece fanno festa solo le donne. L’operazione viene fatta da uno “specialista” locale. Hanno un consiglio di anziani, che risolve le dispute che possono insorgere tra le famiglie e prende le decisioni più importanti della comunità.

Quando celebrano sgozzano una mucca o una capra, dipende dall’occasione, e preparano una birra speciale, fatta di acqua, miele e delle radici che la fanno fermentare in 24 ore se messa vicina a un fuoco costante. Fa circa 10 gradi. Bevono uno alla volta dallo stesso bicchierone. Il secondo giro bevono la birra da un contenitore diverso. Dopo il secondo giro sono già abbastanza ubriachi e cominciano a cantare e ballare. Le donne possono pure bere, ma poco, perché devono fare da mangiare.

Mi hanno anche fatto vedere come tirano con l’arco, hanno inscenato un finto combattimento con i bastoni, mi hanno mostrato come macinano il mais per fare la farina con cui cucinano l’ugali, il loro alimento principale (a me non piace particolarmente), con un sasso, come millenni fa. E come preparano le gonne per le spose, di pelle di capra, con tanti fronzoli e perline, che dovranno portare per tutta la vita, per far vedere che sono sposate.

Ho chiesto al capofamiglia perché non gli piacerebbe vivere in città. 1. Perché là si deve comprare tutto mentre quassù bene o male si arrangiano. 2. Perché in città ci sono molte tribù diverse e mescolandosi con loro perderebbero i loro costumi. Penso al mio dialetto che si sta perdendo e penso che siano più intelligenti di noi.

Andiamo a fare un giretto nelle vicinanze. Passiamo per una scuola elementare, dove di 6 classi solo in una c’è l’insegnante dentro. Non so se gli altri siano in pausa o dove. La seconda e la terza devono dividere la stessa stanza perché non ce ne sono abbastanza. Una classe ha la lavagna su una parete, l’altra su quella opposta.  Il vice capo-maestro li obbliga a sottoporsi alla mia macchina fotografica. Probabilmente un po’ dei soldi che ho pagato va anche a loro per farmi avere una bella esperienza.

Lasciamo la scuola e i due Barbaig mi portano al bar dove si trovano con gli amici. Prendono una birra per farmela assaggiare. Un sorso mi brucia lo stomaco. Finiscono quella lì e ne prendono un’altra perché hanno sete. La scolano in due minuti. Torniamo alle capanne. Un uomo per strada mi ferma e vuole che mi metta a saltare con lui, come fanno i Maasai. Pranzo. Si torna in paese. E finalmente mi posso lavare le mani.

Safari

Safari

Diario di un safari di 5 giorni in Tanzania

29 Maggio 2012

Quando son tornata sono stata mezz’ora sotto la doccia a togliermi lo strato di 5 giorni di polvere. E in effetti quel che sembrava abbronzatura è sparita dalla mia faccia. 3 paia di mutande mi son rimaste. Devo trovare il modo di lavarle appena possibile.

Allora. 5 giorni in giro per Parchi Nazionali a vedere le bestioline. I “big 5″ li chiamano. Leone, rinoceronte, bufalo, leopardo, elefante. Niente bufali per noi, ma gli altri sì. Carini. Soprattutto i leoni, che passano tra le macchine di turisti per trovare un posticino all’ombra.

Comunque son stanchina perché sono due mattine che ci svegliamo alle 6 per andare in giro. 

E’ un po’ noioso per me riscrivere il mio diario di questi giorni, spero non lo sia altrettanto per voi leggerlo.

Safari Day One

Venerdì 25 maggio. Ore 8.52 am. Sono al Naaz Hotel di Arusha. Ho pagato il saldo per il safari. Il cuoco mi piace. Sembra simpatico. Come guida avrei preferito un altro tipo, più carino. Vabbè. I miei compagni di viaggio sembrano un po’ seriosi, ma non importa. Ho dormito male, con gente che continuava a svegliarmi. Sono stanca. E stamattina mi sono svegliata con un labbro gonfissimo. Potrei sembrare la Parietti, se non fosse gonfio solo da una parte. E mi prude un sacco la mano. Spero di non essermi presa qualcosa di strano e che siano soltanto punture di zanzare. Alla fine è piacevole qua ad Arusha. Ho sempre le mie guardie del corpo che camminano con me. Osman e quell’altro rasta che non ricordo come si chiama, mi hanno accompagnato dall’hotel fino a qua, ed Ebo è venuto a salutarmi al ristorante. Avrei voglia di passarmi il filo interdentale e tagliarmi le unghie mentre son qui che aspetto. Se avessi prenotato con l’agenzia Crown Eagle avrei pagato 70 dollari di più e viaggiato con la stessa compagnia. Devono aver mandato il big boss a convincermi, così hanno potuto riempire la macchina e non dovendo pagare commissioni ad altre agenzie ho avuto un’offerta migliore. Sto aspettando che finiscano di fare colazione così possiamo partire. Stanno organizzando tutto adesso. Probabilmente ci fermeremo al mercato a comprare verdura e carne per il viaggio. Stanno maneggiando centinaia di dollari qui sul tavolo, davanti a tutti. Chiedo se non hanno paura di essere derubati. Assolutamente no. Questo è un posto sicuro. Solo una zona di Arusha è pericolosa, dopo l’hotel dove stavo.

9.15 Finalmente saliamo in macchina. Compro un dizionarietto inglese-swahili da un tipo per 2.000 tsh, il suo amico ne voleva 15.000, per lo stesso libricino.

13h30 Siamo al pic-nic area del Tarangire National Park. Abbiamo appena visto un gruppo di elefanti attraversare il fiume lì sotto. Buon pranzo al sacco, anche troppo abbondante. Pollo freddo, involtino primavera, della carne fritta, banana, succo. Il Tarangire è famoso per il gran numero di elefanti e giraffe. A me piace per le piante di Baobab giganti.

Dove ci sono avvoltoi significa che ci sono anche leoni nelle vicinanze. Li seguono perché sanno che lasceranno loro qualcosa da mangiare, prima o poi. La macchina si è riempita di mosche. Le stesse mosche che poco prima erano su quella carcassa di bufalo ucciso qualche giorno fa dai leoni. Ora i leoni son lì che dormono. Si riposano per 2-3 giorni dopo aver mangiato. La leonessa uccide la preda e il maschio comincia a mangiare per primo. Come per i Maasai, spiega Laurence, la guida. La donna costruisce la casa, lavora e cucina mentre l’uomo sta a guardare.

16h30 Siamo a Mtombu, Mosquito River in swahili, cioè fiume delle zanzare. Promette bene. Il campeggio non è proprio quel che mi aspettavo. Sembra di essere nel giardino di qualche famiglia. Mi immaginavo più wilderness. Quando siamo arrivati le tende erano già su e l’acqua calda per il tè e pop corn ci aspettavano a tavola. Che bello. Mi faccio un giretto per il paese. C’è un orfanatrofio. Ce ne sono molti in Tanzania. Molti bimbi restano orfani per l’Aids. Mi hanno chiesto una donazione, ma la mia insensibilità me lo impedisce. C’è anche un bel baretto locale (cioè non per turisti) dove si può trovare la specialità locale, il vino di banana! Molto simile al banana beer che ho bevuto a Moshi. Il labbro è tornato normale.

Safari Day Two

26 Maggio. 9am. White Storks (cicogne bianche). Un sacco sugli alberi. Io pensavo fossero pink flamingos, invece no. La terra sotto gli alberi pieni di cicogne è tutta bianca di cacchine cicognesche.

17 hrs. Siamo tornati al Lago, dopo aver accompagnato due compagni viaggiatori al campeggio, da cui torneranno ad Arusha. Pranzo caldo, buono, come al solito. Pollo con patate, quiche di verdure, e la solita insalatina buonissima di pomodori, cipolla, cocomero, mango e avocado. Ieri sera invece pesce fritto con patate, insalata simile, carote e piselli. Per colazione frittata, pancake, wurstel e pomodori in padella (buonissimi). Abbiamo fatto anche un riposino dopo pranzo. Io ne ho approfittato per tornare nel villaggio. L’esperienza non è stata bella come ieri sera, perché anziché donne e bambini questa volta ho trovato solo un gruppo di uomini ubriachi al bar. Bevevano il loro liquore fatto in casa, e mi veniva il vomito a guardarli mentre lo deglutivano così velocemente. Siamo al pic-nic area del parco. Vista sul lago. C’è un gran casino. Un sacco di uccelli che fanno mille versi diversi e scimmie. Penso che se portassi qui Cagliostro non sopravviverebbe la notte. Ho i capelli incollati dalla polvere. Le Land Rover hanno il tetto apribile così che i turisti possono mettere fuori la testa per far foto. Non si può neanche scendere dalla macchina, se non nelle zone pic-nic. E’ troppo pericoloso, dicono. Comunque con tutto sto mangiare e stare in macchina ho ben recuperato il mezzo chilo che avevo perso.

Safari Day Three

27 Maggio. 10am. Sono poveri, ma un vestito buono per andare a Messa ce l’hanno. Li vedo per strada, mentre guidiamo verso il Serengeti. Maasai con le loro mucche lungo la strada. Tanti Maasai. Passiamo per Ngorongoro per arrivare a Serengeti. Ngorongoro è la loro patria. Solo i Maasai sono autorizzati a vivere qui. Ngorongoro è chiamato il “giardino dell’eden” perché vi son stati ritrovati tra i resti umani più antichi e perché uomini (Maasai) e animali convivono serenamente. Strada sterrata ai 70 km/h. Non mi stupisce che spesso le macchine si rompono. Fa caldo caldo. Una distesa enorme. Il cielo azzurro e i nuvoloni bianchi mi ricordano il Tibet. Anche la distesa sconfinata è simile, solo che là era più rocciosa, mentre qui è abbastanza verde. 12h30 Pranzo all’entrata del Serengeti. Siamo pronti per andare al campeggio a metter giù le tende e lasciare il cuoco a cucinare e poi “evening” safari. Il koreano figlio è corso dietro a un elefante per fargli una foto. 18h50 Tramonto non dei migliori. Il koreano padre seduto vicino a me con il cappello da cow-boy, la mascherina per la polvere e gli auricolari per la musica, durante il tramonto dormiva. Belle foto però prima nel tardo pomeriggio. Adoro sti alberi di acacia, sembrano l’emblema dell’Africa. E con quella luce son venuti proprio bene. 9pm Il cielo sembra un albero di Natale.

serengeti national park

Safari Day 4

28 Maggio 2012 11h35 Brunch. Il Koreano padre si è portato i suoi pescetti secchi da mangiare col riso e alghe per fare il sushi. 12h45 Stiamo caricando la macchina. Fra un po’ siamo pronti a partire, destinazione Ngorongoro. I koreani hanno impiegato 30 minuti più degli altri a far le valigie. Si è anche messo una bella camicia bianca il figlio, dopo due giorni che non si lava e con tutta la polvere che c’è in giro. Stamattina il programma era tè veloce alle 6, all’alba, e poi safari di mattina presto per vedere gli animali quando sono più attivi. Invece sono stata svegliata alle 5 da una compagnia di americane che non finiva di ridere. Dopo 5 minuti di risata che non cambiava tono, ho capito che forse mi sbagliavo. Erano iene. E’ tornato il silenzio solo dopo 20 minuti. E tutti noi in tenda siamo tornati a respirare. Stamattina abbiamo visto un sacco di leoni, da vicino. E zebre, che viaggiano sempre insieme agli gnu, sono così teneri! Si stanno spostando verso il Kenya, con la fine delle piogge.

14hrs. Stiamo lasciando Serengeti. Laurence è andato a pagare. Ho cambiato idea nei suoi confronti; mi ci sto affezionando. Mi sta simpatico e mi tratta come una di loro, mi parla in swahili anche se non capisco e si pulisce le mani nella mia salvietta. Mi mangerei volentieri un frutto in questo momento. Ho fatto il pieno di carta igienica in bagno, così stanotte in campeggio non avrò bisogno di usare i miei fazzoletti ché con tutto il raffreddore che ho avuto li ho quasi finiti. Alcuni turisti son vestiti proprio col cappello da safarista. Che belli. Nei campeggi c’è l’energia elettrica grazie ai pannelli solari. Ce ne sono molti in tutta l’Africa, mi pare di capire. Una buona arancia mi mangerei. Mi sa che Laurence è andato a farsi un pisolino perché non si vede. SIRINGET si chiama in lingua Maasai, che vuol dire “land of endless space”, terra dallo spazio infinito. In effetti non si vede una montagna all’orizzonte, non si vede la fine di questo posto.  

18h08 Campeggio sulla cima del cratere Ngorongoro. Era un vulcano, ora è un buco del diametro di circa 14km, con un lago nel mezzo e un sacco di bestiole. Sono felice. Perché tutto il safari si è rivelato un’esperienza meravigliosa e perché dei Maasai si sono offerti di portarmi al view point dove pochi fortunati sono ammessi e mi hanno permesso di far loro una foto senza voler niente in cambio. Cioè, magari se compravo un braccialetto o uno scudo di cuoio erano più contenti, ma gliel’avevo detto che non avrei preso niente e mi ci hanno portata lo stesso. Gentile da parte loro. Erano lì pronti a difendermi con le loro lance nel caso un leone fosse saltato fuori da dietro un cespuglio. 21hrs. C’è un vento che ho paura porti via la tenda con me dentro! Comunque le stelle sono più brillanti qui che in Europa. Inutile che mi dicano che è per l’inquinamento luminoso, perché sono stata anche in posti in montagna dove non ci sono luci e le stelle non sono assolutamente così. Forse è l’atmosfera che è diversa da queste parti. Laurence di Tanzania mi ha proposto di andare a Moshi con lui. Che caro. Se non avessi fretta di andare al mare e lui non avesse un figlio magari lo seguirei. Domani sveglia alle 6 di nuovo. Fa freddissimo.

Safari Day Five

May 29th, Tuesday, 8hrs50

Fa un freddo cane. E’ tutto nuvoloso quindi dubito che verrà più caldo presto. Siamo dentro al cratere che aspettiamo di vedere se il ghepardo che si è nascosto sotto l’erba ricomparirà. Ho anche un gran sonno perché la scorsa notte con tutto quel vento è stata un incubo.

18hrs Arusha. Mi hanno portato pollo al posto degli spiedini. Mi son commossa quando ho salutato gli altri. E’ stato bello viaggiare con loro. L’americano 50enne, cresciuto in Alaska ma che da 20 anni vive a Key West, un’isola della Florida. Mi ha incantata con i suoi racconti su Cuba. I due Koreani, padre e figlio, che subito dopo il safari inizieranno a scalare il Kilimangiaro e dopo il Kili volano a Zanzibar per 2 giorni. Non hanno tempo da perdere. Devono tornare al lavoro e in due settimane devono fare e vedere il più possibile. Emily, tedesca di 21 anni che ha vissuto da sola per quasi due anni in Rwanda, l’ultimo anno insegnando in una scuola. L’8 giugno finalmente torna a casa, dopo più di un anno che non vede i suoi. Io, che quando mi registro negli alberghi non so cosa mettere come professione e non so cosa rispondere quando mi chiedono come mai non ho figli.

 
Karibu Arusha!

Karibu Arusha!

24 maggio 2012

Sono stati due giorni faticosi. Ad Arusha, alla ricerca di un gruppo a cui aggiungermi per il safari. Non lo volevo neanche fare il safari, ma tutti quelli con cui ho parlato sono stati entusiasti, così vado a vedere anch’io. In teoria ho trovato un operatore che mi fa partire domani. Finché non vedo e non torno sana e salva non son sicura, perché un sacco di compagnie fregano i turisti. Vedremo. Comunque questa ricerca è super stressante perché per strada è pieno di gente che ti approccia per portarti alla “loro” agenzia dove hanno un gruppo che parte il giorno dopo, che poi si dimostra non essere vero. E questi prendono una commissione per ogni cliente che riescono a procurare. Io ho dato un anticipo a un’agenzia che si chiama Uhurutreks, e ho parlato con un certo Jasper S. Mtei, così se non mi sentite più sapete dove cercarmi.

Due giorni che sono qui e penso di non aver camminato neanche un chilometro da sola. Probabilmente ora che ho prenotato (e lo sapranno tutti ormai in Arusha che l’Italiana che cerca un safari di 4 giorni ha finalmente prenotato) sarò più tranquilla a girare. Quindi per 5 giorni non avrò internet, sarò tra i leoni e gli elefanti. 5 giorni perché è quello che mi hanno offerto. E’ bassa stagione ora, ed è difficile trovare gente con cui andare, quindi mi son dovuta adattare. Spero di non annoiarmi o stancarmi. C’era una coppia nel mio stesso albergo che non sapeva se andare in gruppo o da soli, e quando li ho visti verso mezzogiorno sembravano più disperati di me. Come in attesa di qualcuno che li andasse a prendere per portarli al Serengeti. Si erano rifugiati al Africafé per qualche ora, per stare al riparo dai pazzi di fuori. All’Africafé ci sono stata pure io ieri. Buonissimo il caffè, macinato fresco, aroma intenso. Sapeva di Africa.

arusha cafè

Oggi pomeriggio il mio amico Ebo mi ha portato a giocare a fresbee. Era la prima volta che assistevo a una partita di ULTIMATE FRESBEE. Fico! Molto più divertente che passarsi il fresbee in cerchio. Quando torno ci voglio giocare se qualcuno ha voglia. Il bello della partita è che per la prima volta da quando sono in Tanzania ho visto bianchi e neri insieme non per uno scambio di servizi e soldi, ma per una passione che hanno in comune. E poi nel solito ristorantino locale, dove ero l’unica bianca, ho mangiato riso con pollo ai ferri.

ultimate freesbee ad arusha

Il barista dell’hotel in questo momento sta ballando Bob Marley. E siccome gli ho detto che la canzone mi piaceva, l’ha rimessa su. Ieri sera avremo ascoltato la stessa canzone almeno 15 volte. Tornando alla mia cena, io ho preso riso bianco con la zuppina da buttarci sopra, mezzo polletto ai ferri e un po’ di verdure cotte. Il mio amico si è mangiato gli spiedini di carne e banane ai ferri (pociate nel “pili pili”, peperoncino). Non tanto buone le banane, dure e insapori, son contenta di averle assaggiate da lui. Vabbè. Ci sentiamo tra 5 giorni. Ciao!!

Moshi

Moshi

22 Maggio 2012

Sono sempre a Moshi. Ieri ho fatto giretti vari per il paesetto, sempre accompagnata da un moretto. Non esiste occidentale che riesca a camminare solo per la città. C’è sempre qualcuno che si avvicina per offrire scalate del Kilimanjaro, safari al Serengeti o tour nei dintorni di Moshi. Io ho passato maggior parte del pomeriggio con Seleman, che mi ha portata al YMCA a vedere la piscina di 25m (!!) e ad assaggiare la birra alla banana. Buona! 10% appena… c’è anche una versione più melmosa con dei semi dentro ma quella non mi piace tanto.

ymca pool moshi

Oggi invece sono stata in un villaggio sulle pendici del Kilimanjaro. Mi ha accompagnata Joseph. Difficilmente ci sarei arrivata da sola. Ci abbiamo impiegato 45 minuti circa in Dalla-Dalla. Stipati come galline, ma con della bella musica reggae in sottofondo. Bella passeggiata in mezzo alla giungla, tra piante di banana, avocado, caffè e fagioli. Visita a una cascata bellissima e potentissima. E due chiacchiere con il barman del villaggio. Ha 32 anni e una figlia di 18 che va alle superiori.

Stamattina avevo un po’ di “disturbi di pancia” chiamiamoli. Ma quando son tornata in bagno dopo la gita era tutto a posto. Ho mangiato talmente tanto riso da poter prosciugare il Lago Victoria.

16.30 Sono in un ristorantino vicino all’albergo, frequentato soprattutto da gente del posto.  Mi piace perché dal terrazzino posso guardare la gente in strada. Ho preso un succo di Passion Fruit. Vicino a me c’è una signora scocciata che beve una birra sola soletta. In un altro tavolino un pancione antipatico sta mangiando come un maiale. Una signora cerca di vendere delle scarpe. La signora scocciata ne prova due paia, ma costano troppo per i suoi gusti. O non sono abbastanza raffinate per lei, non so. Un ragazzino mi mostra i suoi profumi torbidi e le mollette colorate. Il pancione antipatico lo allontana in malo modo. Ho scoperto che è il titolare del locale. La Scocciata manda il cameriere a comprarle qualcosa in un negozio vicino. Intanto in strada una bambina porta sulla testa una borsa con dei legumi. Le donne del villaggio dispongono con cura le loro verdure sul marciapiede, facendo delle vere e proprie composizioni. Vorrei fotografarle ma se mi vedono si incazzano. Una delle signore dalle belle trecce si è appena soffiata il naso, senza fazzoletto, sopra le arance che volevo comprare io. Una signora mi fa una sceneggiata perché le ho fatto una foto senza chiederle il permesso. Ha ragione, e di solito chiedo, ma volevo fotografarla mentre si metteva il cesto in testa, non potevo perdere l’attimo. Mi ha tirato su un teatrino che è durato diversi minuti. Fino a 5 minuti fa pensavo che i Tanzaniani mi commuovono, perché  spesso ti guardano con cipiglio severo e a volte borbottano o urlano qualcosa che sembra un rimprovero, ma appena dici “Mambo” o accenni un sorriso, ti rispondono con uno dolcissimo. Mi ha un po’ rovinato la giornata il rimprovero della signora, ma tanto domani vado ad Arusha e non ci penso più.