7 Giugno 2012
Pensavo che il pericolo più grande che potessi correre qui in Tanzania fosse cadere dentro un tombino (non hanno coperchi) e rompermi una gamba, soprattutto quando devo prendere il bus alle 5 di mattina che è ancora buio (non c’è illuminazione per le strade, ma per fortuna c’è la luna piena in questi giorni). E invece ho scoperto che c’è qualcosa di molto più pericoloso: viaggiare su un minibus per le strade non asfaltate.
Il viaggio da Songea a Masasi è stato un incubo. Il mio posto era in fondo, nell’angolo, dove solo dei bambini sarebbero stati comodi. Le mie ginocchia urtavano il sedile davanti e non potevo mettermi in nessun’altra posizione perché non c’era altro spazio. Eravamo stipati come galline, e il corridoio era stato riempito di valigie, sacchi di riso e mais, scatole. Quindi ogni volta che dovevo uscire per fare la pipì (non potevo tenermela per 11 ore, nonostante cercassi di bere il meno possibile) dovevo scavalcare tutti i sedili per arrivare al mio posto. Dopo circa un’ora che eravamo per strada, con il bus che andava a una velocità da paura, tra salti e curve, abbiamo sbandato in una maniera paurosa. Credevo si sarebbe ribaltato. Ci fermiamo, e i 4 aiutanti saltano giù e si precipitano verso il retro del bus. Ho subito pensato che avessimo investito qualcuno e stessero andando a soccorrerlo. Invece lì in mezzo alla strada c’era il ragazzo che sfortunatamente si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato e hanno cominciato a riempirlo di calci e pugni. Dopo un po’ il malcapitato è riuscito a liberarsi e scappare, ma ne ha prese un bel po’. La gente sul bus sembrava soddisfatta. Il bruto che aveva quasi provocato un incidente era stato giustamente punito. Io ero sotto shock.
Siamo ripartiti, più veloci di prima. Allora mi son messa a dormire. O a far finta. Preferivo non vedere quel che succedeva intorno a me. Ho aperto il finestrino, per avere una via di fuga in caso ci fossimo trovati con le ruote per aria, e ho appoggiato la testa sul sedile davanti. In quella posizione stavo anche un po’ più comoda perché il bacino stava più indietro e le ginocchia mi dolevano leggermente meno.
A Tunduru, più o meno metà strada, un po’ di gente è scesa. Molta di più è salita. Quando son tornata sul bus, dopo la pausa-pipì, ho trovato un borsone al mio posto. Subito ho pensato che fosse una fortuna, perché mi ci potevo sedere sopra e lasciare le gambe libere e comode sopra il sedile di fianco. Ma un tizio è salito poco dopo che siamo partiti (è entrato dal finestrino perché dalla porta non passava un ago, anzi due tipi vi erano appesi fuori) e si è seduto dietro con noi. Addio spazio per le mie gambe. Ho dovuto tenere le gambe piegate sul borsone per le restanti 5 ore, solo quando ci fermavamo le stiravo fuori dal finestrino. Non ce la facevo più. Sono arrivata a Masasi con la testa che scoppiava. Ho finito il pacchetto di biscotti, mi son presa le pastiglie per la malaria e alle 7 ero a letto.
Il giorno dopo un altro microbus, però la strada era asfaltata e anche se correva come un pazzo pure questo autista, sembrava leggermente meno pericoloso. Poi le mie gambe stavano abbastanza comode, quindi non mi tomentava più di tanto. Ma ero ansiosa di arrivare a Mtwara per potermi finalmente riposare e invece ci siamo fermati 3 volte a fissare non so cosa sotto il bus e le 4 ore che dovevano bastare si son trasformate in 6. Vabbè? Alla fine a Mtwara ho trovato un posto super tranquillo e mi son ripresa alla grande.