La Havana
Il profumo, la decadenza, gli jineteros: ecco La Havana come l’ho vissuta io.
La Havana è una città interessante e curiosa. Ha un fascino come poche, ma è anche soffocante, con le case che cascano e la gente che ti vuole solo fregare.
Il primo aspetto di L’Havana che mi viene in mente è il suo profumo. O meglio, odore. Gasolio. Inquinamento. Soffocamento. Il gasolio si sente ovunque: per le strade, sotto forma di fumi neri sbuffati dalle vecchie macchine americane – che sono diventate l’immagine di Cuba e ne hanno fatto la fortuna, ma ti tolgono il respiro. Sugli autobus, dai buchi nella lamiera. In camera, quando anche al quinto piano vieni svegliato di notte da un forte odore di gasolio e devi chiudere la finestra e accendere l’aria condizionata anche se non ti piace.
La decadenza. Sembra che la città possa cadere in frantumi da un momento all’altro. C’è una zona attorno alle quattro piazze di La Havana Vieja che è stata ristrutturata ed è deliziosa. Appena si gira l’angolo casca tutto. Dalle terrazze sui tetti delle case particular e di alcuni alberghi si vede tutto, e si nota ancora di più la decadenza. Le pareti che danno sulla strada magari sono state riparate, ma da dietro si vedono il grigio e i buchi, muri mancanti, muri collassati.
La prima mattina siamo saliti sul tetto della nostra casa. Eravamo ancora con l’orario italiano, quindi nonostante la stanchezza del viaggio, alle 6 eravamo in piedi. Bella l’alba da lì. E un po’ alla volta si è vista la città svegliarsi. L’afa è terribile anche d’inverno (noi ci siamo stati a inizio dicembre), perciò porte e finestre sono sempre aperte e la vita si svolge principalmente sui terrazzi o in strada. Da una parte un signore si lava i denti guardando fuori dalla finestra. Una signora qualche casa più vicina scarica un po’ d’acqua dalla cisterna per lavare i panni. Dall’altra parte una ragazza si siede davanti alla porta di casa sulla sedia a dondolo col suo bimbo; accende la tv e allatta. Al piano di sotto una mamma pettina una bambina, che appena finito si mette a guardare la tv con i suoi fratelli finché non è ora di andare a scuola.
Gli Jineteros sono i professionisti del fregare i turisti; riescono a convincerli a comprare merce di pessima qualità o a stare in una casa particular o a mangiare in un ristorante dove si prendono una bella commissione.
Il primo giorno ci siamo cascati in pieno. Del resto, sono bravissimi a riconoscere i nuovi arrivati. Pochi minuti dopo essere usciti di casa già avevamo comprato i sigari. “Oggi è il giorno in cui le famiglie hanno il permesso di vendere la loro parte di sigari, e costano molto meno che comprarli in fabbrica”. Ok. Fatto. Grazie. Normalmente non mi faccio abbindolare così, ma questo era proprio bravo, con i suoi sorrisi, le battutine, l’aspetto di chi ti puoi fidare. Peccato che anche il giorno dopo fosse “l’unico giorno”. Di che qualità siano questi sigari non si sa, perché tanto chi ci capisce qualcosa? Io nemmeno fumo!
Nel pomeriggio una ragazza simpatica ci aggancia e comincia a chiacchierare, chiede di dove siamo, ride, ci invita al bar favorito da Che Guevara (fatalità sotto casa sua) a bere un mojito che ci costerà 4 CUC (circa quattro euro , quando al bar di un hotel a 4 stelle costava 3 – probabilmente il suo prezzo normale in questa bettola sarebbe meno di un CUC), quindi 12 euro partiti (perché ovviamente non c’è stato bisogno di parlarne, ma il suo l’abbiamo offerto noi). Poi al supermercato a comprare del latte in polvere per il bambino (era partita con 5 sacchetti a 12 euro, ma per fortuna alla fine si è accontentata di 2) perché lei non lavora, lo Stato le passa qualcosa ma non basta, in due settimane ha già finito la razione mensile.
E il latte lo compri anche volentieri perché non è come dare soldi che magari li usa per bere altri 10 mojito (in realtà la bibita preferita dai cubani è il Cuba Libre, il mojito è per i turisti). No, latte per il bambino che è una cosa utile. Poi quando ci siamo salutati mi sono ricordata di aver letto da qualche parte che si fanno regalare il latte in polvere (perché è più facile che convincere a farsi dare dei soldi) e poi lo rivendono. Vabbé.
Il giorno dopo abbiamo “casualmente” incontrato un’altra coppia lungo il Malecon (il lungomare) de La Havana, sempre molto simpatici; lui parla un mix di italiano e spagnolo con Luca, lei mi racconta di quanto è bella Cuba, con la sua educazione gratuita (tutti laureati che però non sanno parlare inglese … ??), la sanità gratuita (peccato che nelle farmacie non si trovi niente), la sicurezza gratuita (e infatti tutti vivono con delle grate alle finestre e alle porte anche se sono al quinto piano). Ci hanno portati in un posto dove un artista vende le sue opere e il ricavato va a sostegno di una scuola per bambini autistici (grazie ma non mi piace) – dove si beve il negron, un cocktail buonissimo, unico posto a Cuba (grazie ma non ho sete) – e qui costa tutto tantissimo, mi regaleresti mica un po’ di latte per il bambino? (scusa ma arrivi tardi)
La prima volta sei contento, pensi “che simpatici sti cubani” (e il tipo con cui stai parlando te lo conferma lui stesso). Poi ti rendi conto che i soli cubani che vengono a parlare con te sono quelli che vogliono infinocchiarti. E allora un po’ ti metti sulla difensiva e la tua vacanza prende una sfumatura diversa.
Nonostante tutte le delusioni, ho voluto passare altre 3 notti a La Havana prima di tornare in Italia. Perché, pur con i suoi difetti, una città affascinante come La Havana io non l’ho vista mai.
Altre foto di Cuba sul mio album Flickr.