Bikaner

Bikaner

23 Novembre 2010

Oggi ho fatto una pazzia. Mi son concessa un cocktail analcolico da €3. Con questi soldi di solito mangio 4 volte o dormo 2 notti. Ma avevo bisogno di una pausa dal bordello di Bikaner. Sono al bar di un hotel che fa parte del complesso del palazzo di un maharaja, un principe indiano. Dev’essere bello passare la notte a casa di un maharaja. Il mio tavolino è in una corte circondata ai 4 lati da portici e le stanze dell’albergo ai piani superiori. Tutte le pareti sono finemente intagliate e lavorate.  Non costa neanche tantissimo dormire qui, sugli €80 per notte credo.

Bikaner è un paesino ai bordi del deserto, con un gran traffico, cammelli per la strada, una città antica con un labirinto di stradine e case dai mille colori pastello, e un sacco di gente. Gente più stressante che mai. Non cammino due metri senza avere qualcuno che mi chiama e mi saluta e mi chiede da dove vengo e se parlano un minimo di italiano è finita. Sono 40 minuti a piedi tra il centro della città e il mio albergo. Ieri sera mentre tornavo avevo almeno tre guardie del corpo per tutto il tempo. Uno di questi  continuava a chiedermi se lo volevo sposare. Alla fine ho dovuto urlargli dietro per farlo andare via.

Il viaggio in autobus per venire qui è stato un incubo. La strada era quasi tutta dissestata, non riuscivo a dormire dai salti continui. Per fortuna per le prossime due destinazioni ho già prenotato il treno.

Domani probabilmente farò un giro nel deserto. Quando ci sono stata un anno e dieci giorni fa, in Wadi Rum, Giordania, è stata un’esperienza incredibile. Spero questa non sia da meno.

Tra un mese sarò all’aereoporto di Dubai a quest’ora, sulla via del ritorno. Qualche giorno fa ho pensato che a gennaio devo andare in Africa. Per un paio di mesi solo. Zona Mali, Senegal e boh. Lo devo fare ora perché si sa che una volta che si comincia a lavorare diventa difficile prendersi vacanze più lunghe di tre settimane. Quest’idea comunque mi è venuta grazie a voi. Tutti i bei complimenti che ho ricevuto mi han fatto pensare che dovrei andare in qualche altro posto, per voi eh, mica per me! Per vedere l’Africa e portarvela.

Mi hanno presentato il conto. Mi sa che mi stanno cacciando…
A spasso con gli indiani

A spasso con gli indiani

21 Novembre 2010

Pochi minuti fa ho comprato delle ciunghe (= gomme da masticare). 1.6 centesimi di euro per ciunga. 0.16€ per 10. Le Alpenliebe costano la metà. Vendono le ciunghe singolarmente, a pezzo, come le sigarette. Immagino sia perché la gente non ha soldi per comprarsi pacchetti interi. Mi sono fermata a quella particolare botteghetta perché c’era una signora alla cassa. Non si vedono molte donne nei negozi. Il figlio mi ha confermato che è una società maschilista, le donne stanno a casa a cucinare e badare ai figli.

Giornate intense a Jaipur.

Ieri mi sono ritrovata con Vishal, uno dei ragazzi che avevo conosciuto il primo giorno. Mi ha fatta salire sulla sua Royal Enfield e mi ha portata a casa di un amico che stava celebrando il matrimonio. Le Royal Enfield sono delle motociclette tipo chopper che son state portate in India dagli inglesi e che da molti anni non vengono più costruite in Inghilterra, mentre in India ancora vanno alla grande. La prossima volta che torno in India me ne compro una e torno in Europa in moto. Ora non lo posso fare perché a quanto pare il visto per il Pakistan si può solo ottenere all’ambasciata del proprio Paese d’origine (questo da quando ci sono state le inondazioni in luglio-agosto 2010 – controllare il sito Viaggiare Sicuri per info aggiornate). Beh, bello girare sulla Royal Enfield. Non come i rikshò. I rikshò sono delle carrozze piccoline montate su delle biciclette, che a parole evocano immagini di regine e principesse. In realtà sono senza ammortizzatori e sulle strade indiane tutte spaccate e piene di buchi è più una tortura che un piacere starci sopra.

Il matrimonio a cui sono stata era al suo 5° giorno credo. La neo sposa viene dalle parti di Agra, hanno prima celebrato 4 giorni a casa sua, poi sono venuti a Jaipur per celebrare 3 giorni con la famiglia di lui. La sposa deve avere sui 28 anni, mi ha detto il marito. O così credeva lui, non lo sapeva di preciso. Gliel’ha chiesto con me lì davanti. Ne ha 26. Un po’ vecchietta per la media indiana mi sembra. L’ha vista per la prima volta il giorno del matrimonio, prima si erano sentiti al telefono per 2 mesi. Ogni giorno. Io non ho visto il viso della sposa per mezzo secondo. Era sempre coperto dal velo. Si vedeva che era timida, stava sempre rannicchiata anche quando stava in piedi. Probabilmente era anche spaventata perché ha lasciato la famiglia per entrare in quest’altra famiglia di cui non conosce nessuno. Neppure il marito. Penso che si siano visti in faccia per la prima volta quando già erano sposati e lui ha potuto alzarle il velo. Spero si trovino bene; lui sembra un tipo a posto e divertente, anche se severo con i bambini. E viaggia spesso per lavoro, quindi è di mentalita abbastanza aperta. Mi ha confidato che nell’ultimo mese si è mangiato tutte le unghie dal nervoso. Perché non era sicuro di fare la cosa giusta, nello sposarsi. Ma la famiglia ha insistito. In realtà lui ha una ragazza, in Canada, che però non si vuole sposare e non ha intenzione di vivere in India. Lui non può vivere lontano dalla madre e così ha dovuto cedere alla volontà della famiglia. La ragazza in Canada ancora non lo sa che si è sposato. Gli tremavano le mani anche. Lui diceva per la tensione, ma Vishal ha detto che gli piace bere. Ha smesso da una settimana perché non può bere con una moglie. Quanto durerà?

Siamo stati ad un tempio a pregare per una vita lunga e felice per la nuova coppia, una processione di donne solo. Forte perché io ero come l’ospite d’onore, continuavano a chiamarmi e si mettevano in posa per le foto (soprattutto i bambini, erano sempre in mezzo). Alle 9 di sera finalmente mi hanno offerto da mangiare. Stavo morendo di fame. Loro cenano verso le 10 di solito, mi hanno detto. Wow. Riso biriani, chapati (pane con lenticchie schiacciate dentro credo) e un pugno di verdure al curry. Tutto molto buono. Avevano promesso di farmi l’henna sulle mani ma non c’è stato tempo, peccato. Poco prima di andare ho aiutato a preparare la “camera” da letto (uno sgabuzzino tinto di fresco, senza materasso perché quello lo deve portare la moglie). Ghirlande di fiori e petali sul telo messo per terra. Era la loro “golden night” ieri. Costa molto sposare una figlia o sorella. La famiglia deve dare soldi e vari accessori come dote. Però poi sarà mantenuta dal marito per il resto della vita dai. Ho portato 3 rose io agli sposi come regalo. Mi son costate 0.45.

Stamattina mi dovevo trovare alle 10 con Vishal per fare colazione. Io sono arrivata sul posto alle 10.10. Dopo due minuti che aspettavo me ne sono partita. Non è che mi dispiacesse perdere l’appuntamento. Mi ha trovata per strada dopo un po’. Nella mezz’ora che sono stata sola mi hanno fermata 3 uomini. In ordine, un commission guy mentre facevo colazione a base di ceci e pane (ha ammesso lui che prende il 20% delle vendite quando porta un turista in un negozio), un autista di rikshò e un motociclista. I pirmi due mi hanno avvertito delle fregature che si rischiano a Jaipur. Sembrava il soggetto delle discussioni di oggi. Sarà che è domenica? Boh. Ne parla anche la Lonely Planet comunque. Ci sono persone che ti propongono di iniziare un business di importazione di gemme al tuo paese e che poi si rivela una bufala (Jaipur è famosa per pietre e argento, e io non mi sono comprata neanche un anello!). Quando sono riuscita a liberarmi del motociclista, il ragazzo del rikshò si è riavvicinato a me e mi ha chiesto se il tipo si era offerto di accompagnarmi fino alla città antica, dove lui era diretto per incontrare degli amici. Erano le esatte parole che mi aveva detto il motociclista. Li conoscono tutti i loro trucchetti.

jaipur wind palace

Quando Vishal mi ha ritrovata per strada mi ha portata a bere un caffè da un amico. In un negozio di gioielli. Ecco, pensavo, son caduta nella trappola. Invece non si è parlato di pietre per mezzo secondo.  Il tipo era anche simpatico. Il negozio oggi che è domenica è chiuso, ma non gli piace bere davanti ai figli, così si rifugia lì tutto il tempo. E’ un alcolizzato, nella mezz’ora che siamo stati lì ha bevuto due bei bicchieri di whisky con acqua. Ha 4 maschi e una femmina, la più piccola, che ha 9 anni. Il figlio più vecchio ne ha 24. La moglie è morta di emorragia durante l’ultimo parto. Ora cresce lui i figli, da solo. Non so come li cresca, se passa il tempo nella sua botteghetta a bere. E’ un peccato perché è un tipo pacato e gentile, parla un po’ di italiano perché lavora con degli italiani.

Il programma di oggi era di tornare dai neo sposi così che potevo cucinare qualcosa con la mogliettina, ma ho chiesto a Vishal di scusarmi con loro. Non avevo voglia di andare e ancora mi mancavano un paio di cose da vedere in città. Ho salutato Vishal. Tutto il tempo che sono stata con lui ero un po’ sul chi-va-là, ma si è dimostrato un tipo a posto e interessante. Amante di film. Un po’ mi è dispiaciuto lasciarlo, ma gli ho spiegato che sono una solitaria e mi stanco a stare troppo tempo con la gente. Sembra aver capito.

Dopo due lassi e un caffè mi son rimessa per strada in direzione della città vecchia e ovviamente mi ferma un altro. Con la frase d’approccio tipica della città. Can I ask you something? Non so perché mi son fermata. Gli ho spiegato che ci scocciamo a parlare con gli indiani perché abbiamo anche altre cose da fare che parlare tutto il tempo con loro. Alla fine sono stata un’ora a parlare con lui. Mi ha offerto il solito chai. Dice che mi ha fermata perché mi ha vista sgatarrare (spero di perdere l’abitudine quando torno in Italia), emano una bella energia (anche questo complimento tipico) e gli piaceva il mio sorriso. Il mio sorriso con naso largo, bocca storta e mento in fuori? Boh. Raj. Vive a Brighton, sulla costa a sud di Londra. Lavora anche lui con pietre e argento. Sono tutti un po’ filosofi in India, mi piace questo. Mi ha raccontato un po’ di cose che avevo già sentito. Tipo che uomini e donne son diversi. Gli uomini son fisicamente più forti ma le donne hanno personalità e forza di volontà più forti (mah, non è sempre vero secondo me). Di nuovo mi ha detto che le donne riescono a vedere ad un raggio più ampio perché così mentre lavorano possono tenere d’occhio i bambini. Gli uomini invece vedono più lontano (non lo sapevo). Mi ha anche istruito su un paio di cose curiose. Tipo, perché le mucche sono sacre? Perché sono calme e pacifiche, non hanno paura di niente e di nessuno. Si mettono in mezzo alla strada, tra il traffico e le macchine, a mangiare o riposare, e non le muove nessuno. Viaggiare e fare cose nuove fa bene allo spirito, dice. Come quando si indossa un vestito nuovo per la prima volta, dà un senso di piacere. Mi piace.  

Questa loro cultura viene trasmessa di generazione in generazione in famiglia, da nonni e amici dei nonni ai nipoti, e dai loro guru. Ognuno ha un guru in India. Un po’ come i padri confessori da noi immagino. Non è il primo che mi dice che italiani e indiani sono simili (non lo dire ad un arzignanese però, volevo avvertirlo). Perché ad entrambi piace fermarsi per strada e parlare. Forse è vero in alcune parti d’Italia magari, non da me. Quando giro in bici per Arzignano vedo solo neri africani sui loro portici e indiani in piazza. Non molti italiani. A quanto pare agli indiani piace parlare con gli stranieri per imparare qualcosa della loro cultura, ma non so come si aspettino di farlo se parlano loro tutto il tempo. Anche Raj; era interessante, ma dopo una mezz’ora ero rincoglionita dal troppo ascoltare. Però ho accettato di incontrarlo dopo che avrei visitato il “Wind Palace“.

wind palace jaipur

Simbolo della città, il Hawa Mahal, o “Wind Palace”, è meraviglioso. Costruito da un maraja per Krishna, è pieno di finestrelle per permettere alle donne di spiare la vita in strada senza essere viste (tristezza). 
Alla fine Raj non si è presentato e ceste, me ne son venuta a cena. Per strada mi  son fermata a bere un chai e dopo qualche minuto si è formato un gruppo di curiosi. Bello. Bella gente. Mi piace quando si fermano senza essere asfissianti.

Mentre scrivevo al ristorante si è seduto un uomo al mio tavolo. Un bianco per una volta. Alfredo, sui 45 anni direi. Nato in Venezuela, ma dall’età di 14 anni vive in Europa. Al momento sta a Nizza. Suona la chitarra in strada. Cresciuto Hari Krishna. Dondola già la testa come gli indiani, dopo 3 mesi che sta qui. Il suo volo è pure il 23 Dicembre. Mi ha invitato ad andare a trovarlo alle Isole Canarie quest’inverno. “Ma mi hai appena detto che vivi a Nizza!”. Sono un hippy, non vivo da nessuna parte, mi ha risposto. E vivi dappertutto, ho aggiunto io.

Tra qualche ora ho un bus per Bikaner, a Nord del Rajasthan, vicino al Thar Desert. Non mi piace molto viaggiare in bus, ma è difficile trovare posto in treno. Gli autobus che uso io (ovviamente quelli più economici) sono tipo la versione più vecchia dei bus dell’ATV. Sedili non ribaltabili, ammortizzatori rotti, finestrini che non si chiudono. La prima volta che ho preso un bus, vicino a me si è seduto un tipo che pesava sui 150kg. Sorprendentemente son riuscita a dormire, anche se mi sveglio ogni due ore, quando si ferma per pipì e chai. Speriamo in bene stanotte.

Do you mind if I ask you something?

Do you mind if I ask you something?

19 Novembre 2010

Ti dispiace se ti chiedo una cosa? Sembra essere la frase di approccio degli uomini di Jaipur. Sì, mi dispiace. Perché? Perché in 24 ore già 10 persone mi hanno fatto la stessa domanda. “Perché gli occidentali vengono in India per conoscere la cultura e poi non parlano con i locali?” Forse perché questi stressano troppo l’anima e la gente si stanca?

Boh, sembrano non capirlo. E poi la maggior parte delle volte son le solite domande noiose, da dove vieni, cosa fai, cosa ti è piaciuto dell’India e cose così.

Stasera un altro ragazzo mi ha approcciato allo stesso modo. Alla mia reazione, sempre la stessa, maleducata, mi ha detto che non era questo che mi voleva chiedere. Era “Ti posso offrire un chai così che chiacchieriamo un po’?”. Ok, l’essenza è la stessa, ma siccome ha avuto il coraggio di rispondermi (di solito quando rispondo malamente si spaventano e mi lasciano stare) mi ha incuriosito. E mi sono fatta offrire un tè (mezzo per l’esattezza, ci hanno portato un bicchiere di tè e uno vuoto, dove ha versato la mia metà).

Beh dai, non era male il tipo. Mi ha raccontato un po’ di cose interessanti. Tipo, perché gli indiani non sono bravi a giocare a calcio? Perché ad ogni angolo aprirebbero un negozio! Ed è così tremendamente vero! Non c’è un pezzo di casa a livello della strada che non sia un negozio o un ristorante. Le abitazioni sono dal primo piano in su. Niente garage, non servono.  A lui piace il cricket, in ogni caso. Io non so niente di cricket, e dice che non prova neanche a spiegarmi le regole perché è troppo complicato e dopo 2 secondi mi stancherei. So solo che le partite possono durare dei giorni. E la gente non si annoia perché spesso ci scommettono sopra, quindi seguono con attenzione.

jaipur

Mi ha poi raccontato che da loro i matrimoni combinati funzionano perché la mentalità è diversa, la gente è pronta a compromessi per stare insieme, mentre in occidente questo sta diventando sempre più difficile. Vero.

Poco prima avevo avuto un altro incontro interessante. Ero ad un tempio dedicato a Lord Krishna che guardavo il pooja (o puja), una loro celebrazione-preghiera, e un tipo ha cominciato a parlarmi. Lavora per una compagnia turistica, che fornisce bus e guide a gruppi di turisti stranieri. Non capisce questi gruppi di anziani europei che vengono in India e stanno tutto il tempo dentro i loro bus di lusso, come in una gabbia. Escono dal loro hotel, entrano sul bus e scendono solo per visitare palazzi e musei. Niente camminare per le strade. Niente comunicazione con locali. Neanche nei negozi possono andare liberamente, vanno solo in quelli dove li porta l’agenzia. Beh, immagino che alcune persone si possano spaventare all’idea di andare in un posto così diverso dal proprio paese d’origine e con l’età diventa sempre più difficile. Poi se non si ha l’abitudine… Però ha ragione, ha poco senso questo modo di viaggiare. Vero anche che qua in India a un certo punto ti scocci e ti rifiuti di instaurare ogni contatto con indiani. Però dai, ogni tanto una parola ci scappa e non sempre è sprecata.

Bella Jaipur. “The pink city” la chiamano, la città rosa. Usano molto “sand stone” qui per gli edifici. Sassi color sabbia? Boh. Oggi sono stata a vedere il palazzo della città. €4.5 il biglietto. Tantissimo! Però carino dai. All’interno c’era un museo interessante di vestiti e oggetti vari indossati dai Mahraja. Ed è una bella costruzione. All’uscita un tipo su un rickshaw mi ha convinta a fare un giro con lui. 30 centesimi di euro per un’ora in giro a templi. Questo includeva una visita a un paio di negozi di amici, che non aveva menzionato all’inizio, ma è stato piacevole comunque. E ho comprato un paio di orecchini carini a meno di un euro. I tappeti no, li ho lasciati lì. Ma nella fabbrica dove mi hanno mostrato come stampano i sari, mi son riempita di polvere d’oro. Son tutta luccicosa anch’io ora. 

Saluti da Jaipur, Rajasthan. Regione famosa per i colori dei suoi tessuti.  
McLeod Ganj

McLeod Ganj

Novembre 19, 2010

È dal giorno del mio compleanno che non scrivo. È che a McLeod Ganj mi sembrava di non aver fatto niente che meritasse di essere scritto.

Il bello di quel paese è che non sembra di essere in India. Pienissimo di rifugiati tibetani. Non vivono in un agglomerato di case come nei centri di rifugiati che ho visto in Nepal e Darjeeling, ma in un vero e proprio paese e sembrano stare bene. Certo, non è la loro patria e non sarà mai lo stesso, però sembrano contenti. E poi c’hanno il loro amato Dalai Lama a portata di mano… 

Ci sono un sacco di turisti là e il passatempo principale sembra sia comunicare. Tibetani che si raccontano agli occidentali, per far conoscere la loro storia. Ho visto veri e propri giornalisti fare interviste. Così io mi sono sentita un po’ a disagio, non so, mi scocciava far parte della massa. Ho parlato un po’ solo con un tipo di un ristorante, 40enne credo, che ancora non è sposato perché c’è una carenza di donne a McLeod Ganj. È fuggito dal Tibet 16 anni fa. Ora non può più tornare perché era politicamente attivo mentre stava là e lo arresterebbero subito se tornasse.

Comunque i tibetani sono proprio belli. Mi ero dimenticata come si sta bene in mezzo a loro.  

Beh, mi son fatta un corso di massaggi e uno di reiki nei 5 giorni che ho passato al freddo di quei monti. Massaggi bello. Forse perché il tipo che mi insegnava era anche carino. Reiki non so. Non mi ha convinto. Reiki è un metodo di cura che usa i flussi di energia che passano tra i corpi. Il maestro mi sembrava un po’ un pagliaccio e mi infastidiva il suo modo di respirare, probabilmente per questo non mi ha entusiasmato. E poi reiki si basa troppo sulla meditazione, che io non ho la pazienza di fare. Dovrei fare 21 giorni di “self healing”, auto-cura o qualcosa del genere, ma siccome mi ci vogliono 72 minuti, non ho ancora iniziato.

Mentre lui mi “curava”, dovevo concentrarmi sui 7 chakra, dei punti di.. boh, energia forse? Che regolano il resto del corpo? Qualcosa del genere. Mica mi ha spiegato niente il tipo!

Il primo chakra è a livello della passera. “Cosa posso scrivere nel blog?” pensavo io quando mi chiedeva di concentrarmi su quel punto.

“Please concentrate on your second chakra”, Sha… qualcosa si chiama. Poco sotto l’ombelico. Ommmmmm….  mi scappa la pipì.

3° chakra. 2 dita sopra l’ombelico. Comincio ad avere fame.

4° chakra, a livello dello sterno. Da quanto tempo non mi tocca un uomo.

5° chakra, la gola. Mi sta venendo sete.

6° chakra, sulla fronte. Qui riuscivo quasi a concentrarmi, forse perché per farlo dovevo incrociare i miei occhi chiusi e questo mi mandava un po’ in trance.

7° e ultimo chakra, sopra la testa. “Uff.. ancora non è finito?”.

Insomma, non sono stata tanto una buona studente. Spero sia stato bravo lui a concentrarsi e ad aprire i miei chakra, perché io mi sa che non ho contribuito molto. E poi mi diceva “feel the good energy opvj” opvj? what’s opvj? come faccio a concentrarmi con uno che parla così?

Per tutto il tempo poi pensavo a Sibel. Sibel è una ragazza che ho conosciuto a Londra qualche mese prima di partire. È turca, lavorava nella mia stessa compagnia di viaggi, e me l’ha presentata Patrizia, sarda, perché aveva una stanza libera nel suo appartamento. Sibel pure sta praticando reiki. E a starle vicino mi veniva la pelle d’oca. Ha una calma spaventosa ed emana una serenità incredibile, sarei stata ore a parlare con lei. Di energie, auree, gatti e streghe. Mi ha conquistata dicendomi che secondo lei sono stata una strega in una vita precedente. Wow, non sarebbe fico? Ricordo che mi aveva detto che siccome ai tempi dell’inquisizione le streghe ne hanno sofferte di tutti i colori e sono morte in modo orribile, quando si reincarnano preferiscono dimenticare tutto e lasciare da parte i loro poteri. Per questo sono allergica ai gatti, pur amandoli, a quanto pare. Ecco. “It made my day” si direbbe in inglese. Quindi attenti a non farmi dispetti ché son pericolosa!

Comunque, streghe a parte, proprio una bella persona Sibel.

Compleanno col Dalai Lama

Compleanno col Dalai Lama

13 Novembre 2010

Sono a McLeod Ganj, un paesino vicino a Dharamshala, dove ha sede il governo tibetano in esilio. Sono arrivata stamattina alle 6.30 con un bus da Delhi.

Bus tipo quelli più vecchi dell’FTV, non so se sono ancora in circolazione, sedile non ribaltabile, e vicino a me un tipo di 150Kg, ovviamente. Strano come la mente ci faccia capire quello che ci fa più comodo. Io avevo capito che il tipo sarebbe sceso dopo 2 ore dalla partenza da Delhi, invece è sceso dopo 10 ore, a 2 ore dall’arrivo a Dharamshala.

Aria fredda entrava dalle fessure dei finestrini. Nonostante questo sono riuscita a dormire. Non benissimo ovviamente, però non sono particolarmente stanca. E il mio arrivo in questo paese non poteva essere migliore: un tipo mi ha offerto la colazione perché sono ospite ed è suo dovere, nella piazza dove è arrivato il bus c’è un Coffee Day, la catena di coffee shop dove fanno quel gelato affogato che mi sogno anche di notte (ma non so se qui riuscirò a gustarmelo perché fa piuttosto freddo, siamo a 1770m slm), albergo con doccia calda e dormitorio pulito dove un letto mi costa solo 1.5€ per notte.

Corsi di massaggi ayurvedici in albergo. Momo tibetani per strada. Un coffee shop con free wifi a 10 metri dall’albergo. E qui è dove mi son precipitata appena ho cambiato le scarpe.

Sono le 5am in Italia, possibile che non ci sia nessuno in skype?? Ma che mi ritrovo in Facebook? Un bellissimo video di auguri da parte della famiglia Piazza. La gente mi guardava e si chiedeva perché ridevo e piangevo. Grazie mille a tutti per gli auguri. Ho deciso che partirò ogni anno per il mio compleanno, se mi fate regali così belli.

Il Dalai Lama vive qui. Chissà se è in giro in questi giorni? Magari mi faccio fare gli auguri pure da lui… Ah no, ho controllato il suo website ed è in Giappone, per un summit di premi nobel per la pace. Vabbé, sarà per la prossima volta.

Delhi, una piacevole sorpresa.

Delhi, una piacevole sorpresa.

11 Novembre 2010

Non so perché tutti mi abbiano sconsigliato di venire a Delhi. Solo Manuel, il tipo di Perugia conosciuto a Darjeeling, mi aveva detto che ci dovevo venire perché è la capitale e sarebbe come andare in Italia e non andare a Roma (il che non ha molto senso, perché Roma è Roma, ci si va per la città, mica perché è la capitale, ma vabbé). Comunque a me piace Delhi. Molto.

C’è di tutto. Nella Old Delhi ci sono le solite stradine minuscole piene di pedoni, biciclette e rikshò a pedali, ristorantini, bancarelle, tossici, immondizie, cani (bruttissimi i cani in India, e son tutti ammalati). Orinatoi che si sentono a 10m di distanza.

Poi c’è la nuova Delhi, con grandi viali alberati da 6 corsie, bei parchi, coffee shop con musica jazz e carta igienica in bagno, strade pulitissime, ristoranti di tutte le nazionalità con prezzi astronomici, palazzi del governo ed edifici delle rappresentanze diplomatiche.

E la gente non è peggio che in altri posti, anzi, a Varanasi e Agra era più insistente secondo me. Qui ti chiedono se hai bisogno di un rikshò ad ogni metro, ma non ti seguono per chiaccherare e dopo 5 minuti invitarti al negozio del fratello o dello “zio”.

La metro è bellissima. Anche lì super pulito (vietato sputare!!), aria condizionata. E c’è uno scompartimento riservato alle donne, il che è ottimo, vista l’abitudine a strusciarsi che hanno gli uomini qua. E poi siccome ci sono pochissime donne in giro, quello scompartimento è sempre più tranquillo degli altri.

Nella Old Delhi c’è la moschea più grande dell’India. Si chiama Jama Masjid. Può contenere fino a 25.000 persone. Ha diverse entrate, tramite cancelli numerati. Sembrano le entrate di uno stadio. Impressionante.

Ci son molti stranieri, un po’ perché è il porto di atterraggio in India per molti, un po’ perché ci son espatriati, diplomatici e sbandati. Già, per la prima volta ho incontrato stranieri che vivono in India e che hanno perso la loro anima da qualche parte. A Calcutta avevo incontrato quei due intellettuali, Tom e Shasha, qui ho visto tanti “fattoni”. Peccato.

Penso comunque che a Delhi mi piacerebbe vivere per un po’. Perché c’è tutto. L’India vera e un po’ di mondo occidentale, così che quando uno è stanco di lenticchie si può affogare in un frappé al cioccolato.

Peccato che ci sia rimasta solo due giorni e mezzo. Domani ho il bus per McLeod Ganj, un villaggio vicino a Dharamshala dove ha sede il governo tibetano in esilio. Sui monti, al freddo. Chissà se vedrò il Dalai Lama? Eccitata.

Ah, oggi ho fatto la prima cacchina solidina, ma ancora non mi fido a “fare aria” per strada.. 🙁 ..

delhi