19 Novembre 2010
Ti dispiace se ti chiedo una cosa? Sembra essere la frase di approccio degli uomini di Jaipur. Sì, mi dispiace. Perché? Perché in 24 ore già 10 persone mi hanno fatto la stessa domanda. “Perché gli occidentali vengono in India per conoscere la cultura e poi non parlano con i locali?” Forse perché questi stressano troppo l’anima e la gente si stanca?
Boh, sembrano non capirlo. E poi la maggior parte delle volte son le solite domande noiose, da dove vieni, cosa fai, cosa ti è piaciuto dell’India e cose così.
Stasera un altro ragazzo mi ha approcciato allo stesso modo. Alla mia reazione, sempre la stessa, maleducata, mi ha detto che non era questo che mi voleva chiedere. Era “Ti posso offrire un chai così che chiacchieriamo un po’?”. Ok, l’essenza è la stessa, ma siccome ha avuto il coraggio di rispondermi (di solito quando rispondo malamente si spaventano e mi lasciano stare) mi ha incuriosito. E mi sono fatta offrire un tè (mezzo per l’esattezza, ci hanno portato un bicchiere di tè e uno vuoto, dove ha versato la mia metà ).
Beh dai, non era male il tipo. Mi ha raccontato un po’ di cose interessanti. Tipo, perché gli indiani non sono bravi a giocare a calcio? Perché ad ogni angolo aprirebbero un negozio! Ed è così tremendamente vero! Non c’è un pezzo di casa a livello della strada che non sia un negozio o un ristorante. Le abitazioni sono dal primo piano in su. Niente garage, non servono. A lui piace il cricket, in ogni caso. Io non so niente di cricket, e dice che non prova neanche a spiegarmi le regole perché è troppo complicato e dopo 2 secondi mi stancherei. So solo che le partite possono durare dei giorni. E la gente non si annoia perché spesso ci scommettono sopra, quindi seguono con attenzione.
Mi ha poi raccontato che da loro i matrimoni combinati funzionano perché la mentalità è diversa, la gente è pronta a compromessi per stare insieme, mentre in occidente questo sta diventando sempre più difficile. Vero.
Poco prima avevo avuto un altro incontro interessante. Ero ad un tempio dedicato a Lord Krishna che guardavo il pooja (o puja), una loro celebrazione-preghiera, e un tipo ha cominciato a parlarmi. Lavora per una compagnia turistica, che fornisce bus e guide a gruppi di turisti stranieri. Non capisce questi gruppi di anziani europei che vengono in India e stanno tutto il tempo dentro i loro bus di lusso, come in una gabbia. Escono dal loro hotel, entrano sul bus e scendono solo per visitare palazzi e musei. Niente camminare per le strade. Niente comunicazione con locali. Neanche nei negozi possono andare liberamente, vanno solo in quelli dove li porta l’agenzia. Beh, immagino che alcune persone si possano spaventare all’idea di andare in un posto così diverso dal proprio paese d’origine e con l’età diventa sempre più difficile. Poi se non si ha l’abitudine… Però ha ragione, ha poco senso questo modo di viaggiare. Vero anche che qua in India a un certo punto ti scocci e ti rifiuti di instaurare ogni contatto con indiani. Però dai, ogni tanto una parola ci scappa e non sempre è sprecata.
Bella Jaipur. “The pink city” la chiamano, la città rosa. Usano molto “sand stone” qui per gli edifici. Sassi color sabbia? Boh. Oggi sono stata a vedere il palazzo della città . €4.5 il biglietto. Tantissimo! Però carino dai. All’interno c’era un museo interessante di vestiti e oggetti vari indossati dai Mahraja. Ed è una bella costruzione. All’uscita un tipo su un rickshaw mi ha convinta a fare un giro con lui. 30 centesimi di euro per un’ora in giro a templi. Questo includeva una visita a un paio di negozi di amici, che non aveva menzionato all’inizio, ma è stato piacevole comunque. E ho comprato un paio di orecchini carini a meno di un euro. I tappeti no, li ho lasciati lì. Ma nella fabbrica dove mi hanno mostrato come stampano i sari, mi son riempita di polvere d’oro. Son tutta luccicosa anch’io ora.