11 Marzo 2014
13.04 In taxi. Le palme e poi il Mar dei Caraibi. Il rumore dell’aria che entra dai finestrini aperti copre quello dei pezzi della macchina che si stanno per staccare.
Ore 2 del pomeriggio circa. SANTO DOMINGO.
Pranzo con pollo e riso, buonissimo. E siamo in attesa di un hamburger. Pollo e riso: credo proprio che non sarà l’ultimo di questo viaggio. Ricordo che al carnevale di Notting Hill era il piatto tipico dei Jamaicani (vicini di casa).
In albergo c’è il Wi-Fi, sono riuscita a chiamare mia mamma con Skype. Che mi ha detto? Non preoccuparti che i gatti non sentono proprio la tua mancanza, stanno benissimo. … ….
Abbiamo provato a prendere un mezzo pubblico dall’aeroporto fino a qua, ma non c’è stato niente da fare. C’è un gua-gua (i mini-bus locali), ma è solo per i dipendenti dell’aeroporto. Dopo un’ora di trattative siamo riusciti a farci portare per 20 USD circa, 1000 RDS.
Santo Domingo è la città più antica del Nuovo Mondo e vi si trova quella che i dominicani amano definire la Catedral Primada de America, anche se in realtà ne era stata costruita una prima, a Città del Messico, che però èdurata solo qualche decennio. Quindi visita quasi obbligata a questa cattedrale, dalle mura molto spesse e rinfrescata fin troppo da degli enormi condizionatori d’aria. Non visiteremo molte chiese e musei, ma questa mi sembrava interessante. I locali della Zona Colonial sono molto belli, arredati con gusto e spesso nascondono dei giardini interni. Dappertutto per la strada si trovano piante dai bellissimi fiori fucsia, simili alle nostre… bouganville?
16.35 Ed eccoci in Plaza de Espana con la prima coppia di Presidente, la birra nazionale. Anche questa prevedo sarà una compagna fissa di viaggio. Sono stanca morta. Siamo un po’ provati dal viaggio e le birre ci sono andate subito in testa (anche perché son bottiglie da 66 cl). Luca comincia a farneticare (minaccia di abbandonarmi se non la smetto di dirgli che deve dire “por favor” e “gracias”). Ho voglia di andare a vedere il mare e metterci dentro i piedi.
20.36 Stanchi morti, piedi e mani gonfi come l’omino Michelin. Abbiamo deciso di partire già domani e andare a sud di Barahona (ad ovest de La Capital, come chiamano qui Santo Domingo), verso Paraiso (un nome, una promessa) e più in particolare alla spiaggetta Los Patos. Così ci avviciniamo al confine con Haiti.
Dopo un giro tranquillo per la Zona Colonial (l’area più turistica della città ) e uno meno tranquillo per andare a vedere il mare (per attraversare la strada non appena c’è uno spazietto si passa di corsa la prima corsia, si aspetta dove c’è la linea di metà carreggiata, si tengono zaino e macchina fotografica sui fianchi per diventare il più sottile possibile, si spera che degli idioti per farti uno scherzetto e fingere di venirti addosso non ci riescano veramente, e appena è libero si corre dall’altra parte), abbiamo pensato bene di cercare l’agenzia che vende biglietti del bus per Barahona, per vedere se bisogna prenotare e a che ora parte. Per la prima volta da quando mi affido a lei, la Lonely Planet non sembra particolarmente d’aiuto. Dalle poche informazioni che dà sembra che i bus partano dalla zona del Parque Enriquillo, ma non si capisce esattamente da dove. Capiremo poi perché. In una stradina che fiancheggia il “parco” (una piazza con un po’ di verde, delle panchine, venditori ambulanti e tante brutte e sporche facce che gironzolano), vediamo la prima agenzia. I loro bus non vanno a Barahona; la ragazza della biglietteria non saprebbe dove indirizzarci. Chiedete fuori, ci dice. Ehmmm… ok. La Lonely Planet segna un’altra agenzia su un altro lato del parco. Ci andiamo. Non c’è niente. Allora chiediamo a un ragazzo che sta urlando una destinazione per noi incomprensibile per far salire sul suo gua-gua possibili interessati. No, non è qua la Parada per Barahona. Dobbiamo andare più a nord. 5 esquinas più in su (esquinas… non mi dice niente. Sarà strada? O angolo? Boh, poco cambia. Andiamo in su). 5 esquinas più in su, dopo aver attraversato strade super trafficate, dove non esistono strisce pedonali e la tua faccia bianca non ti aiuta (e anche se ci fossero le strisce e avessi la faccia nera non cambierebbe niente), dove per attraversare devi approfittare del rallentamento causato da una macchina proveniente da una strada laterale che cerca di inserirsi tra le macchine che corrono, dove le macchine si scontrano ma non hanno neanche il tempo di fermarsi per controllare i danni, dove c’è chi deve rimettere la macchina al suo posto lungo il marciapiede perché ha provato a partire ma dopo due metri di tentennamenti la macchina è morta definitivamente, dove un bambino che arriva di corsa urlando qualcosa ti spaventa perché pensi che voglia assalire te e invece sta solo chiamando un amico… Ecco, passiamo queste 5 esquinas, vediamo dei bus grandi, ma non sono questi. Dovete andare a destra, lungo questa strada, dal lato opposto. Andiamo. Altro garage con bus grandi. No, non è qua. Dovete andare ancora più avanti. Ok, ci diamo un’ultima possibilità , perché ormai è più di un’ora che camminiamo da ste parti e non ce la facciamo più. Il vecchietto fuori dalla bella sala d’attesa (così in contrasto con il bordello che c’è fuori), quando ci vede che non sappiamo dove andare, con il fucile a pompa ci indica il bagno. No no, grazie, non è quello che ci serve. Ma vicino al bagno abbiamo visto la biglietteria. Chiediamo. Niente, non è neanche questo . Vabbè, torniamo all’hotel. Magari domani proveremo a chiamare.
Torniamo in strada. Le strade qui formano una griglia, quindi è abbastanza facile orientarsi. Prendiamo una strada diversa per tornare, parallela a quella trafficata di prima, e il ritorno è un po’ più tranquillo. Luca comunque non vuole fermarsi in uno di quei ristorantini locali dove vendono pollo e riso, è un po’ preoccupato che mi possa succedere qualcosa. “Allucinante”, continua a ripetere. Ed allucinato è il suo sguardo. Io invece sono abbastanza tranquilla, perché vedo ragazze e bambini girare da soli, e questo mi tranquillizza sempre. Quando siamo di nuovo nella Zona Colonial rallentiamo il passo, e mi è anche passata la fame.
Quindi a letto senza cena. Vabbé, ci rifaremo domani.