Riposo a Monte Cristi

Riposo a Monte Cristi

27 Marzo 2014

8.42 Pilacca.

Piove talmente tanto che per venire a fare colazione al bar vicino all’albergo siamo saliti al primo piano dove c’è un salone che forse nei tempi d’oro veniva usato come sala da ballo, e siamo scesi al bar da un’altra scala. Non si può fare neanche mezzo metro sotto l’acqua. Cioé, “non si può”, noi non possiamo; in realtà ho appena visto passare una moto con 4 sopra, di cui un bimbo di un paio d’anni, con un telo tirato sopra alle teste. Eh beh, quando non si ha l’automobile e bisogna andare da qualche parte, non si può fare tanto i difficili.

10.05 Luca è arrabbiato perché dice che non parlo mai. Forse è vero, ma stavo guardando i siti degli hotel per capire dove dormire a Santiago; se avessi trovato qualcosa di interessante l’avrei condiviso con lui. Dice che sono abituata a stare da sola e che mi piace. Sì, è vero, ma mi piace anche stare con lui.

Non piove quasi più. Luca se n’è andato in camera, sempre più arrabbiato.

Ora deve aver smesso completamente perché un tipo sta lavando la macchina. Ha smesso di piovere ma io non ho voglia di andare in giro. Oggi starei tutto il giorno qui a fare niente.

16h30 Non piove ma c’è un gran vento. Secondo me fra un po’ ci arriva qualcosa in testa. Siamo al Comedor Yvelise, lo stesso di ieri, a mangiare ancora capretto e bere birra. Dopo tanto pollo, un po’ di capretto ci sta tutto. L’insegna dice “Benvenidos a Choza”, mi sembra quasi di essere a Venezia.

28 Marzo – 10.33

Siamo ancora qui a Monte Cristi. Costa poco e si sta bene, abbiamo bisogno di rifocillarci dopo 10 giorni ad Haiti.

Oggi c’è un gran sole e fa caldo, ma qui sulla terrazza dell’hotel si sta proprio bene.

Pomeriggio. Schei fa schei, i peoci fa peoci. Luca ed io stiamo pensando a come arricchirci. Siamo seduti su una panchina della bruttissima spiaggia di Monte Cristi. C’è talmente tanto vento che ha mosso tutta la sabbia e sembra di stare a Sottomarina. Una bella coltivazione di pidocchi metteremo quando torniamo.

Venerd?: si fa festa con casse, musica e birra sul lungomare di Monte Cristi

Venerdì: si fa festa con casse, musica e birra sul lungomare di Monte Cristi

Anche oggi il mio Fracchino ha fatto un’opera buona: c’era una conchiglietta che camminava per strada, evidentemente persa. Lui l’ha presa e l’ha buttata in mare, salvandola da morte certa.

E’ venerdì sera e alla Terraza Fedora c’è festa. Non fa ancora buio ma si beve e si balla. Vedere come si muovono al ritmo di questa musica così sensuale mi fa invidia; mi da proprio fastidio essere mobile come un tronco io. Stiamo qualche minuto a guardare la gente che balla dall’altra parte della strada, poi ce ne torniamo in hotel. Pizza al taglio veloce da un buco vicino al supermercato, servita da una ragazza che continuava a chiamarmi “tesoro” e “amore”.

Si torna dai Dominicani!

Si torna dai Dominicani!

26 Marzo 2014

7.25 Siamo in stazione a Cap Haitien, sul caldissimo tap-tap per Ouandinthe, sul confine. In teoria sono 3 ore di viaggio. Speriamo. Siamo anche belli pieni, pronti a partire. Colazione al Croissant d’Or. Bello tornare in un posto conosciuto, ti fa sentire a casa. C’è puzza di piedi qui dentro. Comincio a pensare che siano quelli di Luca! Solita confusione e tanta immondizie, sulle strade e nel canale. Un peccato, visto che il centro città era così pulito e ordinato, un tale contrasto rispetto Port-au-Prince!

Poco dopo la partenza ci siamo fermati per gonfiare una ruota. Per fortuna ci sono sti meccanici lungo la strada che in pochi minuti sistemano tutto. Chiamarli “meccanici” forse è un po’ troppo. Hanno due ferri e un compressore a benzina, senza un’officina o un ufficio. Fanno tutto sul ciglio della strada in pochi minuti, non c’è neanche bisogno che l’autista spenga il motore.

9h44: Au revoir tap-tap et “Dieu tout Pouissant” (stampato ovunque, dai tap-tap alle banche, sui muri delle case, a caso…), bienvenidos gua-gua e “Cristo ya viene”. Siamo a DAJABON, sul gua-gua per Monte Cristi, la nostra destinazione finale per oggi. Speriamo che l’hotel sia decente perché abbiamo bisogno di riposare un po’! Abbiamo perso qualche euro nel cambio dei gourdes in pesos (avvenuto per strada da un uomo a caso, un ufficio di cambio autorizzato non esiste), ma abbiamo risparmiato 40 dollari a testa venendo in tap-tap anziché con Caribe Tours: 25 dollari (-5 spesi da noi per i mezzi pubblici) per il pullman e 20 per la frontiera haitiana (all’ufficio del Caribe Tours ci avevano chiesto 30 USD per le tasse doganali: 10 per la frontiera dominicana, che abbiamo in effetti pagato, e 20 per la frontiera Haitiana, che invece non ci sono stati chiesti quando siamo usciti). Ci conferma che quando si viaggia con gruppi di stranieri tutti ne approfittano, è meglio arrangiarsi quando si può. Certo, magari il bus diretto era più comodo, ma ci è andata abbastanza bene dai. Il tap tap dopo mezz’oretta si è svuotato, e ora il gua-gua è climatizzato e comodo, ognuno con il suo posto assegnato. La Lonely Planet diceva che ci volevano tre ore per arrivare alla frontiera ad Haiti, invece in un’ora e mezza l’avevamo anche passata.

Che ridere, quando siamo arrivati a Ouanaminthe, appena scesi dal tap-tap siamo stati assaliti da una ventina di moto, tutti che ci volevano portare al confine. Luca è stato bravo, ne ha scansati un po’, si è acceso una sigaretta, mantenendo la calma. La moto dovevamo prenderla, ma a lui dava fastidio che ci avessero assaliti a quel modo. Io a vederlo così mi sono messa a ridere, sapendo come doveva essere in realtà super-nervoso, dietro la calma apparente, ed ho spiegato ai moto-tassisti che ci dovevano dare spazio o quello lì sboccava. Alla fine una moto a testa e con neanche un dollaro siamo arrivati alla frontiera. Primo ufficio e timbro per uscire da Haiti, qualche centinaio di metri lungo uno stradone, e la frontiera dall’altra parte. Seguiti da un gruppo di persone che volevano cambiarci le gourdes. Alla fine il primo ci aveva fatto l’offerta migliore e siamo tornati da lui.

18.30 MONTE CRISTI Che bello, che serenità! Ora mi rendo conto che Haiti non è stata per niente facile. Paghiamo 650 pesos per dormire, circa 12 euro, in una stanza senza finestre verso l’esterno, che quando scoreggiamo ci sentono alla reception, ma è pulita, spaziosa e profumata. Due caffè ci sono costati 30 RDS, che di là neanche in strada li pagavamo così poco. Abbiamo mangiato un piatto a testa con riso e capretto e sono stra-piena, non c’ero più abituata. Internet ovunque o quasi e libero, non come ad Haiti che dovevamo andare negli hotel di lusso e pagare. Gente cordiale che ti saluta e ti sorride per strada, nessuno di rabbioso o violento, gli autobus non hanno bisogno di rubarsi i passeggeri.

A Monte Cristi la spiaggia è un po’ lontana e niente di che, non credo che farò il bagno, ma in centro c’è gente ed è piacevole. Un supermercato con una corsia dedicata agli assorbenti, un bancomat funzionante a due passi dall’albergo. Non sembra neanche vero. La gente qui sta bene. Prima è passato uno con una Yamaha R1 (ha detto Luca). Siamo sul molo ora, si sta divinamente. Ci sono 4 uomini che si sono portati una cosa da bere e si sono messi in fondo al molo in attesa del tramonto. Belli.

Piedi neri a Port-au-Prince

Piedi neri a Port-au-Prince

23 marzo 2014

Petionville, 11h17

Sembra quasi di stare in America. Ci sono molti “blancs”, edifici più alti di un piano, supermercati su due piani, negozi di vestiti e addirittura bancomat che funzionano! Abbiamo fatto colazione alla patisserie francaise del supermercato. Una pasta e un caffè che ci son costati più che in Italia, ma ce li siamo meritati!

patisserie francaise port au prince

La pasticceria del supermercato

Qui a Petionville si gira veramente tranquilli. E’ la zona dove vivono gli expats (stranieri trasferitisi qui) e gli haitiani più agiati. E’ anche la zona dove ci sono gli hotel più decenti. Ora vediamo com’è giù in paese 🙂

Petionville – vendita al dettaglio

15h30 Hotel Oloffson. Siamo qui a riprenderci dopo la lunga camminata in giro per PAP. Più che altro fa caldissimo e abbiamo i piedi pieni di polvere. L’Oloffson è un’istituzione a Port-au-Prince, un hotel antico in stile gingerbread (pan di zenzero). E’ fuori dalla nostra portata, per pernottarci, ma per una bibita e riprendere fiato ci sta. All’interno ha un murales bellissimo e una zona dove suonano i gruppi. All’esterno è tutto bianco, con dei tavolini sulla veranda e un bel giardino con piscina attorno.

Abbiamo fatto un bel giro finora. Abbiamo preso il tap-tap che ci ha portati fino alla città. Siamo stati a vedere i resti della cattedrale, dove in mezzo ai ruderi stavano facendo una cerimonia.

Notre Dame Cathedral in Port au Prince

Rovine della cattedrale di Notre Dame a Port au Prince

Per arrivare al Marché de Fer, l’antico mercato, meno incasinato di quello di Jacmel, ci siamo persi per una zona poco rassicurante – beh, tutta PAP appena fuori dalle strade attorno alla piazza principale è poco rassicurante. Al Marché de Fer vendevano tante scarpe e cosmetici, capelli finti e tartarughe vere, bamboline per il vudù, yoghurt lasciati a fermentare al sole, ricambi per le automobili (gomme termiche, pezzi di motore, ecc.). Oltre alla parte coperta del mercato, dentro due edifici speculari dal tetto di ferro, ci sono migliaia di banchi (o semplicemente scatole accatastate sulla strada) anche nelle strade circostanti, con dei teli a proteggere dal sole i venditori appisolati tra le proprie merci; e per arrivare alla parte coperta si passa per forza sotto a questi teli, piegati a metà perché sono ad appena un metro e mezzo da terra.

Lasciato il mercato abbiamo camminato verso sud lungo il Boulevard Jean-Jacque Dessalines, una delle arterie principali di Port-au-Prince. Lungo la strada si vedevano meccanici al lavoro, gommisti, venditori di tutti i tipi (bibite, cosmetici, tavole e sedie). Comunque abbastanza tranquillo, a parte il caldo e lo sporco. E’ un’altra cosa passeggiare in pieno giorno senza zaini attorno.

Autista/meccanico al lavoro lungo Boulevard Jean-Jacque Dessalines

Siamo stati a vedere il centro degli artisti di strada con le loro opere vudù. “Perché fanno tutte paura?” Chiedo ad André Eugéne, il fondatore/maestro del centro. “Ma quali ti fanno paura?” mi chiede lui, come se fossero tutte opere normali da esporre in casa, come se un ciccio bello trafitto allo stomaco o un pupazzo con dei paletti negli occhi fossero dei simpatici soprammobili. Queste creazioni dovrebbero tenere lontani gli spiriti maligni, ma a me sembra che portino gli incubi.

Volevamo anche fare un giro al cimitero, ma era chiuso.

port au prince

Lasciamo quest’oasi di pace e frescura, dove tre limonate ci son costate 9 euro, un’esagerazione per noi che abbiamo i soldi contati (ma ho approfittato anche di internet), per tornare nel casino e nella polvere.

16h45 Siamo nel parco principale di Port-au-Prince. Si sta bene ora: è un po’ più fresco, c’è una bella brezza che non sa di plastica (siamo a poche centinaia di metri dal mare, ma durante le ore centrali della giornata non si sente). Poco distante da noi c’è un gruppetto raccolto attorno ad un oratore, ogni tanto si esaltano ed applaudono. Dall’altra parte ci sono i bagni: se fai solo la pipì sono 5 gourde, se fai anche la cacca il costo per l’uso del gabinetto raddoppia. Ma qualcuno entra a controllare cos’è stato fatto?

Cacca o pipì?

23h Domani allora si riparte. Devo ammettere che anch’io sono un po’ provata da tutti questi giorni di lunghi viaggi, che non mi aspettavo di fare qui, e ho paura di quel che ci aspetta domani. 7 ore, sulla carta, per Cap Haitien. Un’orchestra in strada. Direi che è l’ora giusta per mettersi a suonare trombe e piatti e cantare in strada. Cosa staranno festeggiando? Non so e non mi posso informare, sono in camera, al terzo piano.

BRIVIDO stasera, mentre stavamo tornando verso Petionville. Erano le 6 e da un locale dove stavano ballando, parte “Un’estate italiana”; con i veri Bennato e Nannini (pensavo fosse un remake). Ho sempre amato questa canzone. Mi metto a cantarla mentre camminiamo, un po’ emozionata, rallentando il passo per gustarmela il più a lungo possibile, e mi viene incontro tra la folla un haitiano che canta pure lui ad alta voce. Pelle d’oca.

Bennato e Nannini a Port-au-Prince:

Da Port-Salut a Port-au-Prince, 14 ore per 219 km

Da Port-Salut a Port-au-Prince, 14 ore per 219 km

22 Marzo 2014

6.32 am, Les Cayes
Ho i capelli un po’ scompigliati. Oggi siamo partiti in camion. Uno di quei camion aperti, dove fanno salire merci e persone. Noi abbiamo preso gli ultimi spazietti sulla panca di legno. Gli altri dormivano sopra mucchi di scope fatte con le foglie di palma di cui era pieno il camion. Per fortuna qui non sono tanto abituati a correre in discesa come in altri posti che ho visitato; sul piano e in salita però ci danno dentro, e più è grande il mezzo, più corrono.
Ci siamo svegliati alle 4.45. Il tipo ieri sera ci aveva detto che loro si svegliano sempre alle 4-4.30. Alle 5 eravamo lì che chiamavamo e bussavamo ovunque, ma nessuno è venuto ad aprirci i cancelli. Così abbiamo scavalcato il cancello alto circa 2 metri (io con un po’ di difficoltà ed imbarazzo) e appena ci siamo messi in strada ci hanno caricati sul camion. Non comodissimo, ma meglio della moto. Comunque la gente si sveglia veramente presto qua. Alle cinque, ancora buio, c’era già chi portava scope, chi assi di legna, chi andava al lavoro.

Fuori dai centri più grandi non ci sono distributori di benzina; per le strade si vedono ragazzini con tanichette di benzina, gasolio e olio. Se invece sul ciglio della strada c’è una bottiglia di rum, vuol dire che lì si può fare il pieno di quest’altro carburante. Le 6.45 e comincia a schiarire.

Le grandi città son anche l’unica possibilità per noi stranieri di prelevare denaro. Fuori da Port-au-Prince le banche sono poche, e se anche c’è il bancomat, non accetta carte straniere. Bisogna sperare che la banca abbia un POS da cui avere un anticipo sulla propria carta. Accettano però solo visa e solo con il chip. Il che vuol dire che delle mie 3 carte ne va bene solo una. Spero di non finire i soldi prima di uscire da Haiti.

Il camion ci ha lasciati a Les Cayes, dove ora stiamo aspettando il bus per Port-au-Prince. In realtà il bus è già qua. L’autista stava dormendo sul suo sedile, ma ci ha aperto per permetterci di mettere giù gli zaini. Dopodiché siamo andati a fare colazione con i tassisti e gli altri disperati. Un buon panino con burro d’arachidi piccante e caffè al gusto di miele da quanto è dolce. Qua vicino c’è una corriera con la musica alta, alle 7 di mattina. Si tengono ben svegli gli autisti, ma i passeggeri? Magari vorrebbero dormire… A un certo punto si sono messi tutti a ballare. La donna mentre versava il caffè, il figlioletto di 6 anni che le da’ una mano prima di andare a scuola, quell’altro col panino in bocca. Una bella scenetta.

Ho già visto due limousine questa mattina. Forse qualche riunione governativa in qualche hotel di lusso a Port Salut? Una è passata proprio vicino a un tipo che camminava senza scarpe. Il divario.

Speriamo di non dover attendere 4 ore anche stamattina. Sarebbe bello arrivare a PAP a un orario decente e riuscire a vedere qualcosa. Che ridere, dopo essere stato qui, a Luca non farà più tanta paura Santo Domingo come i primi giorni.
Sono le 10 e non siamo ancora partiti. Litigano con gli altri bus (quelli scassati, il nostro è uno dei pochi con l’aria condizionata) per rubarsi i passeggeri. Tirano giù borse e sacchi dalle moto-taxi per costringere il passeggero a scendere e salire con noi. Sarebbe stato troppo bello partire presto. Perché tutti salgono sugli altri? Forse dovremmo andare anche noi? Costano meno? Partono prima? Mi sa che comunque sono bus che si fermano prima, non arrivano fino a PAP, quindi ci conviene stare qui. Comunque c’è abbastanza gente ora, si potrebbe partire, no?
21h50 Arrivati a Port-au-Prince finalmente. Che giornata! Alla fine il bus è partito a mezzogiorno, dopo 6 ore di attesa! Come se non bastasse il ritardo, per strada abbiamo trovato una manifestazione e siamo stati fermi un paio d’ore. Mentre gli altri scendevano per riparasi dal calore e chiacchierare sotto i pochi alberi, Luca non trovava pace, una sigaretta dopo l’altra. C’era chi viaggiava peggio di noi comunque, come si vede dalle foto. Le galline, poverine, che tortura!

In più arrivati a Port-au-Prince abbiamo fatto scendere tutti i passeggeri, con i loro mille sacchi, e il processo richiede un bel po’ di tempo. Alle 7 eravamo ancora in paese, che stava calando la notte. L’attesa mi ha regalato una scena bellissima però: il sole che stava scendendo bello giallo dietro il muro di polvere, la gente e il casino di Port-au-Prince. Per fortuna col bus ci hanno depositati giusto dov’era il tap tap per Petionville, il quartiere più turistico e borghese, dov’è il nostro albergo. Mi incuriosisce questo posto. Mi ha fatto meno impressione rispetto alla prima volta, quando abbiamo cambiato tap-tap qualche giorno fa.

Siamo arrivati a Petionville che era buio pesto. Siamo passati in mezzo al mercato, dove un tipo ha provato prima a mettere le mani in tasca a Luca, e poi attorno a me da dietro, ma Luca l’ha fermato. Non avevamo idea di dove fosse l’albergo, non c’è neanche la segnaletica che indica i nomi delle strade. Un ragazzino sordomuto ci ha accompagnati fino ad un hotel di lusso in fondo alla via, che però non era il nostro. E’ stato molto gentile. Le guardie di quell’hotel ci hanno spiegato dov’era il nostro e dopo 15 minuti siamo arrivati. Che buona la sprite di benvenuto! Cenetta al ristorante dell’hotel, perché abbiamo paura ad uscire di notte in questa zona che non conosciamo, e poi subito a nanna che siamo stanchissimi. La stanza è un buco e ci costa 60 dollari a notte, ma almeno stiamo bene.

Visto che siamo arrivati tardi e siamo anche piuttosto stanchi staremo due notti, per visitare bene la capitale haitiana.

Un giorno ordinario a Port Salut

Un giorno ordinario a Port Salut

21 Marzo 2014

8.48 Siamo stati svegliati da due cani che litigavano per una femmina, galli in festa, e il proprietario che si offre di portarci a Les Cayes. Rifiutiamo perché ormai abbiamo rinunciato all’Ile de Vache, facciamo una pausa e ci riposiamo qui. Mentre facciamo colazione tre cani dormono attorno a noi. Fino a qualche minuto fa uno dei maschietti era pronto con il pisellino fuori, ma la femmina proprio non ne voleva sapere. Ha insistito tanto, ma alla fine si è arreso e si è messo a dormire anche lui.

6.46pm Cena in spiaggia. Una porzione solo, che dividiamo tra noi, perché costa 500 HTG. Vero che oggi abbiamo speso solo 25 per mangiare (degli spiedini alla brace presi per strada), ma ne abbiamo spesi 200 per bere! Buona la Prestige, anche se non ghiacciata. L’hanno presa da un freezer, che anche se funzionasse non servirebbe a molto, visto che non c’è corrente in paese (e tantomeno in spiaggia) in questo momento. Poco fa il cane stava ancora seguendo la femmina, che gli rispondeva abbaiando, ma lui stavolta non molla, sembra stia miagolando, ma le sta sempre dietro.

Oltre a noi c’è una coppietta di innamorati. Probabilmente sono in vacanza qui. Port salut è uno dei principali centri vacanzieri di Haiti. Perché non c’è solo chi muore di fame. Ci sono anche ricconi (che però stanno negli hotel di lusso, non nelle stamberghe come noi) e membri della borghesia medio-alta, che si possono permettere hotel da 100 euro a notte e birre da 3 euro. Poi si passa ai morti di fame.

Oggi siamo stati sempre qui intorno, abbiamo camminato lungo la strada principale di Port Salut che segue la costa (lungo la spiaggia non è possibile, ci sono parti rocciose dove camminare è pericoloso e molte zone comunque sono private, di proprietà di hotel e abitazioni, chiuse al passaggio) e stasera ultimo bagnetto nel Mar dei Caraibi.

Ripensavo al viaggio che abbiamo fatto per venire qui. Viaggiando in autobus o in questi taxi comuni si riescono a rubare momenti di vita, anche perché qui la stessa si svolge principalmente all’esterno, non dentro le mura domestiche. Dal cassone del pick-up si vede chi lavora il legno, chi il ferro, chi prepara la carbonella, chi lavora gli orti, chi raccoglie banane. E alla fine si ritrovano tutti al mercato.

Avvistamenti lungo la strada a Port Salut

Quando torno a casa voglio cucinare pollo con riso e pesce con il latte di cocco. A Port Au Prince vive un decimo degli Haitiani e la città continua a crescere. Non capisco perché. In provincia magari non sono ricchi, ma perlomeno hanno qualcosa da mangiare e vivono una vita dignitosa. Probabilmente molti si trasferiscono nella capitale nella speranza di fare soldi, ma pochi ci riescono. Molti finiscono nelle bidonville, a vivere nelle baracche di cartone o di amianto, senza finestre e circondati dai propri rifiuti, organici e non, e passano il tempo mendicando per le strade. Il Sud di Haiti invece è bellissimo. La vegetazione è lussureggiante e il sole fa risplendere il verde smeraldo delle palme. Sulle colline il tap tap o la camionette (i pick-up pubblici) si ferma a far scendere o salire la gente; non si vedono case, ma tra una pianta e l’altra sbuca un sentierino che sale ripido su per la collina. La maggior parte della gente vive senza automobile. Se si devono spostare aspettano anche per ore che passi un mezzo o che lo stesso sia pieno e pronto a partire. Perdono anche un’intera giornata per fare 200 km. E’ uno stile di vita completamente diverso dal nostro, ma al quale non farei fatica ad adattarmi, credo. Certo, se hai un’urgenza è un casino. Ci sono le moto-taxi, ma sono utili fino a un certo punto. Nessuno ha un libro con cui passare il tempo comunque. Quando aspettano o chiacchierano tra di loro o stanno lì a pensare e a guardarsi attorno. Sulle camionette se qualcuno si aggiunge che sono già stretti che non ci sta uno spillo, magari si incazzano perché il nuovo arrivato spinge di qua e di là per farsi spazio, ma dopo un minuto chiacchierano tutti insieme.

Abbiamo diviso le ossa del pollo (super buono!) tra due cani e poi ho visto che c’era anche un cucciolo qui dietro. No! Poverino! Lui non ha mangiato! Prenderei un altro pollo solo per dare le ossa a lui.

8 pm Siamo andati via dalla spiaggia perché mi faceva male vedere quel povero cucciolo che non poteva mangiare perché quelli più adulti probabilmente gli hanno insegnato (non con le buone di sicuro) di stare alla larga. Qui alla guesthouse c’è musica stasera. Vogliamo informarli che andremo via presto domattina.

Fa arrabbiare che i governi scoraggino le visite ad Haiti, perché è vero che le città più grandi magari fanno un po’ paura, ma appena si esce e si va nei paesi più piccoli è un paradiso. Qui il mare non è bello come a Las Aguilas, probabilmente perché è mosso e alza la sabbia, ma comunque merita. A Nord di Haiti c’è l’Oceano Atlantico, probabilmente sarà più freddo del mare caraibico trovato qui.

Una gallinella si è appollaiata sulla sedia a sdraio e il cucciolo di cane sulla sua brandina personale (ho visto solo lui finora lì sopra). Pensavo che se mi trasferissi qui probabilmente non troverei tanto facilmente l’antipulci per i gatti.

In questo paese c’è il grave problema dell’acqua potabile e quello dell’elettricità. Ci sono spesso black out e alcune case (ma soprattutto guesthouse e hotel) hanno i generatori. Ieri sera per esempio abbiamo dovuto aspettare fino alle 7.30 che attaccassero il generatore per farci la doccia: perché fino a quell’ora c’è abbastanza luce, quindi non è indispensabile e non attaccano il generatore, ma in bagno non ci si vedeva proprio. Di giorno la corrente non c’è proprio, inutile lasciare cellulari sotto carica (probabilmente negli hotel più chic la situazione è diversa).

Stasera abbiamo mangiato anche l’insalata e i pomodori, speriamo di non pentircene!

Il landlord ci ha detto che è più facile trovare una camionette alle 5-5.30. Quindi questa sarà la nostra sveglia domattina. Ci lascerà il cancello principale aperto. Ok, si può fare. In Tanzania capitava ben più spesso di qua.

La femmina dalle tette scure si è messa a dormire tra noi. Bello come questi cani cercano la compagnia degli uomini. Più che randagi sembrano cani di tutti. Di qua girano i soliti quattro, che però si vedono anche attorno ad altre case. In spiaggia ce n’erano altri ancora.

Mentre venivamo qui da PAP, poco prima di Les Cayes, ci siamo fermati a far scendere un tipo e il suo frigorifero scassato (che stava sul tetto). Mi chiedevo cosa se ne facesse, e qui l’ho capito: ovunque si vedono vecchi frigoriferi e freezer staccati dalla corrente, che servono per tenere le bibite e il latte isolati dalla calura esterna. Magari non saranno freschi, ma meno caldi sì.

“Vous voulez pas boire une bière avec nous?” ci ha chiesto il landlord. Gli abbiamo detto che stavamo per andare a dormire. Ok. Il ragazzino comunque ci ha portato birra e sprite e ci hanno lasciati qui a bere. Da soli. Boh. Vabbè, apprezzato comunque.