Viaggio zaino in spalla in Repubblica Dominicana e Haiti

Viaggio zaino in spalla in Repubblica Dominicana e Haiti

Itinerario di 40 giorni da Santo Domingo a Port au Prince e ritorno

Nel 2014 ho viaggiato con il mio ragazzo nella Repubblica Dominicana e Haiti, zaino in spalla e mezzi pubblici. Come al solito abbiamo lasciato l’Italia senza avere un itinerario preciso in mente, decisi a farci guidare dalle nostre sensazioni lungo la strada.

Siamo arrivati a Santo Domingo dopo un lungo viaggio con una pausa di molte ore a New York, un volo lungo che ci ha fatto risparmiare un po’ di soldi ma ci ha anche stremati.

Santo Domingo è la capitale della repubblica, una bella città con architettura coloniale interessante. Può anche spaventare in alcune aree, in particolare attorno al Parque Enriquillo, dove partono gli autobus che girano per il paese. Luca era un po’ scosso il primo giorno, prima di allora aveva girato solo in Europa, non era abituato al caos e al traffico disordinato e pericoloso.

Santo Domingo

Da Santo Domingo abbiamo deciso di andare a sud-ovest, vicino alla costa. Los Patos era descritta dalla Lonely Planet come la migliore spiaggia del sud. Quindi ci siamo andati, perché volevamo vedere zone diverse del paese. E in effetti si stava bene. C’erano pochissimi turisti stranieri, molti turisti locali, quindi la destinazione ideale per chi cerca questo, mentre nel nord ci sono molti più turisti internazionali ed è forse un po’ meno autentico.

Dopo Los Patos siamo andati a Pedernales, vicino al confine con Haiti. Da lì abbiamo fatto una gita a Bahia de Las Aguilas, un parco naturale con una delle spiagge più belle in cui sono stata, raggiungibile solo in barca. Eravamo vicino ad Haiti, ma ancora non avevamo deciso se passare il confine o no. Tutti quelli con cui parlavamo sconsigliavano di andarci, perché era pericolosa e cara. Probabilmente è stato proprio questo a convincerci ad andare. E la vera avventura iniziò.

baia delle aquile
Baia delle Aquile

Il viaggio avventuroso ad Haiti

Appena dopo il confine abbiamo dovuto passare la notte su una barca per arrivare al primo paese haitiano, perché andare via terra avrebbe richiesto qualche giornata.

La prima tappa ad Haiti fu Jacmel, una cittadina di artisti molto carina sulla costa sud, che portava ancora i segni del disastroso terremoto del 2010.

Qui abbiamo avuto un anticipo di come sarebbe stato viaggiare ad Haiti: sporco, caotico, quasi impossibile prelevare soldi.

ainse-à-pitre
This is how we were going to travel in Haiti

Da Jacmel abbiamo preso un tap-tap per Port au Prince e da lì direttamente a Port Salut. Fu il primo dei molti lunghi viaggi che avremmo dovuto affrontare ad Haiti. Usare i mezzi pubblici non è facile ad Haiti. Ogni volta impiegavamo moltissime ore per fare qualche centinaio di chilometri. E’ probabilmente il lato peggiore del viaggiare zaino in spalla ad Haiti, perché si perde un sacco di tempo e ci si stanca molto.

Port Salut è un luogo di villeggiatura carino, calmo e rilassato. Da qui siamo andati a Les Cayes in giornata, con l’idea di fare un salto anche all’Ile de Vache, ma i ritardi causati dai trasporti e dalla ricerca di un bancomat ce l’hanno impedito.

Dopo Port Salut siamo saliti a Port au Prince, la capitale. Il primo impatto non è stato dei migliori, in quanto appena arrivati un ragazzo ha cercato di rubare dalle nostre tasche e dallo zaino. Il centro di Port au Prince non è male, a parte il caldo e la polvere, ma appena fuori dalle strade e piazza principali è un casino e per niente rassicurante. Comunque abbiamo visto un po’ di arte Vudù, che era il motivo principale per cui volevo venire ad Haiti.

Da Port au Prince un altro luuuungo e pauroso viaggio fino a Cap Haitien. Cap Haitien sarebbe anche carina e pulita, molto diversa dalla capitale, pur essendo una città grande. Ma questo nel centro, appena fuori c’è un canale pieno di rifiuti, un gran brutto vedere.

Coming out of school in Cap Haitien

Da Cap Haitien abbiamo passato la frontiera per tornare in Repubblica Dominicana (quindi praticamente siamo entrati ad Haiti da sud e usciti da nord; c’è un altro passaggio al centro, lungo una strada che collega le due capitali, se non sbaglio).

Un viaggio zaino in spalla molto più facile in Repubblica Dominicana

Che bella sensazione essere di nuovo in Repubblica Dominicana! Ci siamo resi conto di quanto sia stato difficile viaggiare ad Haiti. La Rep Dom è molto più economica, è molto più facile girare, cibo e caffè sono disponibili praticamente ovunque, si può prelevare denaro da qualsiasi bancomat, gli hotel sono puliti. Ora, qualche anno più tardi, sono felice di quella esperienza ad Haiti, ma non so se riuscirei a rifarla, è stato veramente stancante. Probabilmente è più semplice se hai soldi e puoi noleggiare un’auto o un autista. Cap Haitien comunque è stato il posto più carino.

Arrivati in Repubblica Dominicana abbiamo passato alcuni giorni a Monte Cristi, per riprenderci e rifocillarci. Da qui siamo poi andati a Santiago e Constanza, sulle montagne.

Dopodiché solo spiagge. Ed ogni posto è stato piacevole e accogliente.

La prima spiaggia è stata a Cabarete, un posto per amanti del surf. Era il primo posto dove incontravamo tanti turisti stranieri; tutta la costa nord ha molti turisti stranieri, in particolare dagli Stati Uniti (e anche molti italiani e francesi che si sono trasferiti lì dopo la pensione). A Cabarete ho mangiato la miglior colazione della mia vita.

rio san juan
Beach in Rio San Juan

Siamo andati ad ovest fino a Rio San Juan, dove non c’è molto da fare o da vedere, ma che ho amato, forse proprio per la sua atmosfera rilassata. Dopodiché siamo passati alla penisola di Samanà, con Las Terrenas e Las Galeras. Carino, molto turistico.

Da qui abbiamo attraversato il paese e siamo passati alla costa sud. Avevamo valutato l’opzione di stare un paio di giorni in uno dei resort full inclusive della costa est, pagare 80 dollari al giorno per prendere il sole e abbuffarci (si mangia molto pollo in Repubblica Dominicana, a un certo punto hai proprio voglia di qualcosa di diverso), ma non ci era rimasto molto tempo e così siamo andati direttamente a sud.

Boca de Yuma è carina ma Luca non si sentiva molto bene (anzi, proprio male, mi ha spaventata), quindi non ce la siamo goduta tanto. Da lì a Juan Dolio, ultima tappa. Siamo stati in questo paesino lungo il mare fino al volo di ritorno e abbiamo fatto una gita di una giornata a Santo Domingo, dove si celebrava la Pasqua. Quanto siamo arrivati in Repubblica Dominicana non ci siamo fermati a lungo a Santo Domingo perché pensavamo di tornarci prima della partenza. Invece quando siamo stati a Juan Dolio ci hanno consigliato di rimanere lì a dormire e di fare solo una gita a Santo Domingo. E non è stata una brutta idea.

Ripeterei questo viaggio tra Repubblicana Dominicana e Haiti? Sì, e probabilmente rifarei un itinerario simile. So che Haiti è stato un incubo, ma vorrei vedere se è cambiata la situazione. Gli Haitiani non meritano di vivere così.

Cap Haitien

Cap Haitien

25 o 26 Marzo, ho perso il conto.

Mezzogiorno a Cap Haitien. Siamo sul tap-tap (il retro di un pick-up) in attesa che si riempia e ci porti a Labadie. Ci siamo presi un po’ tardi perché ci siamo alzati con calma, siamo stati al Caribe Tours a prenotare il passaggio per la Repubblica Dominicana (ci hanno detto di presentarci direttamente domattina), e a fare colazione. E’ arrivata una vecchietta accompagnata da un vecchietto che portava una carriola con un sacco di zucchero e uno di riso. Montato tutto sul pick-up, sotto i nostri piedi. Finora Luca è l’unico maschio. Mancano ancora un paio di persone per partire (credo, ma qui non si sa mai quando considerano il tap-tap “pieno”).

La corrierona (comoda e diretta) per Santiago costa 25 USD. Andare con il tap tap costerebbe circa 20 USD in meno, ma sarebbe un viaggio più lungo e stancante, perché dovremmo prenderne uno fino alla frontiera, passare la frontiera a piedi e una volta in Repubblica Dominicana cercare il gua-gua per la destinazione successiva.

Ad Haiti ho visto un sacco di donne incinte. Tutte giovani però. Le vecchiette della mia età non se le fila più nessuno.

15h15 Pausa bibita al Cornier Bar, un albergo-ristorante-bar per stranieri. Questi due succhi ci costeranno più della cena di questa sera, ma ne avevamo proprio voglia ed è troppo bello bere qualcosa di fresco su queste poltroncine in riva al mare. Se voglio internet però devo pagare 3 USD. Nel parcheggio ci sono delle camionette dell’UNHCR. Poveri cooperanti?

I nostri succhi di lusso

Siamo stati a vedere la spiaggia dove si fermano le navi da crociera. Era circondata da una rete in metallo per tenere fuori gli intrusi. E noi insieme con altri haitiani eravamo lì a guardare i turisti che facevano il bagno e prendevano il sole come si guardano le scimmie allo zoo.

Eravamo un po’ più in là a fare il bagno, ma mentre ci asciugavamo è iniziato l’attacco delle zanzare. E ci sono un sacco di ricci in acqua, ho paura.

Siamo tornati a Cap Haitien con una moto (noi due e l’autista su una moto), perché pic-up non ce n’erano più. Non tanto comodo, su quella strada sterrata. Abbiamo fatto in tempo a fare un giretto per il paese: la piazza principale con il municipio (Delegation du Nord), le stradine con le case Gingerbread, il lungomare, il Croissant d’Or, un panificio-pasticceria (rarità). Cena con mezzo pollo a testa e yuca. Stasera abbiamo fame.

Piazza e municipio a Cap Haitien

Le 9 o le 10 di sera, non lo so. Luca è stanco e non gli va più bene niente. Cacchio, ho paura che sia nella fase “Maledetta la volta che t’ho incontrato” e che non sia per niente contento di aver accettato di partire con me. Spero gli passi in fretta!

Tipica casa gingerbread haitiana

Tipica casa gingerbread haitiana

Il lungo viaggio per Cap Haitien

Il lungo viaggio per Cap Haitien

24 marzo 2014

6.30 am. Questa mattina ci hanno informati che c’è la colazione inclusa nel prezzo della camera. Quindi prima colazione, poi si parte. Ecco. Ingossà. Una buona frittatina col formaggio.

7.35 Ci toccherà arrivare col buio anche stasera? Siamo bloccati nel traffico, sembra Arzignano alle 8 del mattino, bloccata dalle auto delle mamme che portano i bimbi a scuola. Alle 6 faticavo ad alzarmi dal letto, ma dalla finestra giungevano i rumori della città già in fermento. Si svegliano decisamente presto in questo Paese, non c’è tempo da perdere!

Bloccati nel traffico mentre andiamo verso il centro di Port au Prince

School bus americani e altri bus con targa francese: probabilmente i Paesi Occidentali anziché buttare gli autobus dimessi li mandano qui, sotto forma di donazioni generose.

Due cose hanno decisamente più grosse che da noi: le macchine e le casse per la musica. Le poche macchine che girano sono per la maggior parte grandi pick-up, Cherokee o Jeep, e anche la bancarella più scassata ha delle casse giganti, magari vecchie decrepite dalle quali si sente un po’ malino, ma in ogni caso la musica dev’essere a volume altissimo.

pap

Le 9. Sono fin troppo onesti gli haitiani. Sul tap-tap per il centro città abbiamo chiesto agli altri passeggeri come potevamo arrivare a Estacion O’Cap, dove c’è il bus per Cap Haitien. La signora di fronte a noi ha chiesto all’autista, che le ha risposto che ci avrebbe portati lui. Bene. Per fortuna poi la signora ha avuto l’accortezza di chiedergli quanto voleva. 500 HTG. Cosa? 8 euro?? Gli altri passeggeri si sono indignati tutti. Un altro signore ci ha detto che bastava scendere alla Grande Rue (la strada del Marché de Fer, dal nome regale ma che in realtà è tra le più sporche e incasinate di PAP) e prendere un altro tap-tap che ci avrebbe portati alla stazione per 10 HTG. Ok. Così facciamo, prendiamo l’altro tap-tap e quando arriviamo, io che ho sempre pagato 15 HTG finora sui mezzi di PAP (circa 0.30 euro), gli do 30, per due persone, e lui mi restituisce 20, perché erano solo 5 a testa. Vabbè, con 20 HTG magari non ci faceva niente, però ha dimostrato di essere onesto.

Alla stazione troviamo subito un bel corrierone scassato strapieno di gente, ci fanno salire dal retro per darci gli ultimi posti disponibili, ed è ora di pagare. Sul biglietto c’è scritto 200. 200 che? Gourde, ho pensato io. Non possono essere 20 USD spero! No. Mostriamo 500 HTG e non vanno bene. Sono 1000 HTG. Ah ok, erano 200 dollari haitiani. Uff? che casino. Qui hanno la doppia moneta (più il dollaro americano negli hotel ed in frontiera). A un certo punto della storia di Haiti il dollaro americano valeva 5 HTG. E’ diventato talmente comune parlare in dollari che usano l’espressione tuttora che il dollaro vale 44 HTG. E’ diventato dollaro haitiano. Non è una moneta diversa, si paga sempre con le stesse banconote stracciate, ma per dire 1000 HTG si dice 200 dolars. Per esempio a Port Salut dovevamo pagare 700. Non avevano da darci il resto di 300 HTG, quindi la cameriera ha chiesto al gestore se aveva 60 dollari. Il tipo che ci ha fatto salire sul bus, uno dei tanti che sopravvivono aiutando i bus a raccogliere i viaggiatori in stazione, era tornato per chiederci altri soldi, ma la gente attorno a noi ci ha aiutato a mandarlo via.

Corriera super piena

Dalle casse della corriera esce una musica che spacca i timpani. Speriamo si parta in fretta perché ci aspetta un lungo viaggio.

Tutto attorno alla corriera ci sono bancarelle con cosmetici, bibite e qualcosa di fritto. Una signora che mi ha visto che dal finestrino dell’autobus cercavo delle bibite, ha informato il venditore. Una 7up e un’acqua 6 dolars. Gli do 100 HTG. Non ha da darmi il resto (qui non hanno mai il resto). “Aspetta”, mi fa. Vedo che parte. Per me potrebbe anche non tornare più e tenersi il resto, il bus partirà presto e ciccia il mio resto, e poi in alcuni ristoranti per turisti abbiamo pagato 100 HTG per una bibita sola. Ma lui no, dopo un po’ torna con i miei soldi.

Venditori all’estacion O’Cap

Sono passati 30 minuti e siamo ancora qui, più caldi e stretti che mai. Quando siamo saliti noi pensavo che la corriera fosse piena, invece hanno fatto sedere una terza persona per ogni due posti. I sedili sono mobili (= staccati), così se necessario si possono spostare verso il corridoio per far sedere una terza persona. Una mezza chiappa nel corridoio a destra, una mezza a sinistra vicino al finestrino, e un intero al centro.

Ogni tanto sale qualcuno che fa un lungo discorso di presentazione di quel che vende. Tutti ascoltano con attenzione. Una ragazza è riuscita a raccogliere 20 HTG e ci delizia con una canzoncina (oggi è la giornata contro? boh, non ho capito). Un altro è riuscito a vendere un inalatore. Il balsamo di tigre invece non va tanto.

Partita la musica sacra. Tra Les Cayes e PAP ci siamo fatti 12 ore di musica religiosa (Dieu qua e Dieu là), con il ragazzo che raccoglieva i soldi del biglietto che ogni tanto si metteva a cantare e mimare la canzone, tanto era preso.

10 circa. Siamo partiti da 15 minuti e ci ha fermati la polizia. E perché mai? Saremo mica sovra-affollati con troppa roba sul tetto, su un bus che sta andando a pezzi e che corre troppo??!

Respiro durante una sosta per gonfiare la ruota

12.35 Iniziata ufficialmente la caccarella. Siamo fermi per un problema non meglio identificato. Da quando abbiamo lasciato PAP un tipo ha passato due ore a esporre dettagliatamente i suoi prodotti ed è anche riuscito a vendere qualcosa. Poi ci siamo fermati a fare pipì (mentre gonfiavano un po’ una delle gomme centrali), io ho scagazzato mentre tutti mi guardavano (non c’era neanche una pianta a nascondermi) e siamo ripartiti con la musica. Ora siamo fermi di nuovo. Intanto devono capire qual è il problema. Impossibile dormire su questa corriera. Non capisco perché debbano correre così tanto. E il clacson suona di continuo per avvertire: “sto arrivando e meglio che ti scansi perché sono talmente lanciato che se ti vengo addosso ci spacchiamo entrambi”. Frenano solo se dall’altra parte arriva un camion/carro armato. Ho paura di avere ancora la caccarella che scende, da quanto era liquida. Ci siamo fermati altre due volte per gonfiare la ruota centrale. Tra la paura di ribaltare, lo sforzo per tenermi aggrappata con tutti sti salti e la fatica di tenere i muscoli in tensione per non farmela addosso, questo viaggio è uno strazio.

Mi consola solo la vista dal finestrino: bei paesaggi aridi, palme e cactus alti 6 metri.

20h35 Cap Haitien. Credevo che oggi sarei morta. Mi ha quasi fatto bestemmiare. Pazzo di un chauffeur. Su strade scassate, con un bus scassato dalla tenuta meno di zero e una ruota sgonfia, correva come un pazzo, con brutti dirupi a lato della strada. E comunque anche sul piano, con tutte quelle buche sarebbe stato un attimo ribaltarsi. Alcuni passeggeri mostravano fiducia nel loro autista ed erano tranquilli, altri ogni tanto si lamentavano, ma inutilmente.

Dalla strada ho notato che nel fiume si lavano, lavano l’automobile, lavano i vestiti che poi mettono ad asciugare sui sassi della parte asciutta del letto del fiume, sull’erba davanti a casa, sul tetto di casa o sulle siepi di cactus.

Contenta di essere arrivata a Cap Haitien e di aver trovato facilmente l’albergo. Cap Haitien sembra molto carina, pulita e ordinata rispetto a PAP. L’hotel costa poco, ma è uno schifo, viene usato anche ad ore dagli innamorati, la stanza è minuscola, rumorosa e puzzolente, ma dopo il viaggio di oggi mi sembra il paradiso.

La Haiti bene

La Haiti bene

Giovedì 20 Marzo

8.15 Stiamo facendo colazione: un ottimo caffè (del resto quest’isola lo produce), due uova e due pezzi di pane su cui spalmare il formaggino. Stiamo facendo colazione in giardino in compagnia di tre galli, due galline e un galletto, tre caprette nane, due cani di cui una femmina super coccolona e super affamata, un colibrì e tanti bei fiori fucsia. Tutti che girano liberamente qua intorno. Sotto la capannina dove facciamo colazione stanno seccando delle foglie di tabacco. Il proprietario parla un ottimo francese, a differenza di sua moglie che mi parla in creolo e mi sorride. Non so se pensa che io capisca il creolo o se è convinta di parlare francese. Vediamo se oggi riusciamo ad andare all’Ile-a-Vache.

14.00 La ragazza seduta vicino a me sul tap-tap si è messa il lucidalabbra e ora si sta pettinando i capelli con una spazzola per lavare per terra. Ha un sacchettino con dentro un fiore di plastica a cui sembra tenere molto. Il bello del passare tanto tempo per strada è che si notano fatti interessanti. Per esempio siamo passati davanti a vari muretti con su scritti nomi di hotel, e dietro i muretti niente, solo qualche mattone, come se stessero già pubblicizzando un hotel che finiranno di costruire fra qualche anno. Si vede la gente che lavora, chi aggiusta auto, chi lavora il legno o il ferro, chi rammenda vestiti; dentro le mura fa troppo caldo, così si mettono in strada a fare qualsiasi lavoro, dal cucinare al preparare il carbone. A volte vicino alle case ci sono delle tombe dai bei colori pastello. Quasi tutte le case, anche le più povere, hanno la parete dipinta. Al singolare, perché è solo la parete rivolta verso la strada che viene dipinta, le altre rimangono grige. Son più sfortunati quindi gli edifici agli incroci, ne devono dipingere ben due di pareti!

Una capretta si lamenta e l’altra ci tira i sassi in testa, mentre aspettiamo che riparino il tap-tap, sulla strada per tornare a Port Salut da Les Cayes. Ci siamo messi all’ombra di alcune palme di cocco, speriamo non ci caschino in testa! I furgoncini UNICEF, UN, UN Police ecc. che continuano a passare cominciano a darmi fastidio.

La nostra spedizione a Les Cayes è stata un mezzo fallimento. Appena arrivati abbiamo cercato di prelevare dei soldi. La prima banca non aveva né bancomat né anticipo contanti. Moto-taxi per farci portare da un’altra parte. La seconda banca aveva un bancomat, non funzionante, ma niente anticipo contanti. La terza banca non aveva un bancomat ma ci ha fatto l’anticipo contanti in pochi minuti. Il casino del mercato mi ha un po’ spaventata e si era fatto di nuovo troppo tardi per andare all’Ile-a-Vache, quindi siamo tornati a Port Salut.

16.30 Siamo in un auberge di lusso, a bere qualcosa e ad approfittare di internet per salutare a casa e far sapere che ci siamo. Il proprietario, un francese che però ha vissuto in Francia solo i suoi primi 17 anni e il resto della vita in giro per le isole (ne avrà 65 di anni ora all’incirca), vive qui da 18 anni, 14 fissi. Doveva fermarsi a vivere in Cile e aveva detto alla moglie “Facciamoci l’ultimo viaggio”. Son venuti qui e non se ne sono più andati. Port Salut comunque, ama precisare, non Haiti. Dice che si vive troppo bene, che è tranquillo, sicuro, che non ha guardiani né all’hotel né al magazzino di materiali da costruzione che ha qui vicino. Possiede 8.000 mq attorno all’hotel e altri 20.000 più in su, dove si è costruito due casette, il magazzino e due appartamenti. Ha 46 dipendenti e sono tutti come suoi figli. Auberge du Rayon Vert, si chiama. A quanto pare gli haitiani ricchi ci sono, e amano spendere i loro soldi. E lui ne fa molti con loro. Poi ci sono anche molti canadesi, americani e svizzeri. In più collabora con varie ambasciate ecc. Qui ha investito non so quanti milioni di dollari, e in Repubblica Dominicana non investirebbe 5 euro, dice. Sì, ci sono difficoltà tecniche (l’elettricità che spesso manca, l’acqua difficile da reperire, per es.), ma per il resto è molto più semplice che in Europa. Ha messo del marmo sul pavimento del ristorante. Che vita che si fa sto qua. Può starsene al bar del suo hotel a leggere o lavorare con il mare di fronte. Certo, probabilmente si è sbattuto non poco per arrivare fin qua. Ha messo delle sdraio in spiaggia, mai viste prima. Chiude a chiave il cancello che dà direttamente all’entrata del bar, ma poi il cancello del parcheggio è aperto. Mi ha fatto fare da intermediaria. Ha voluto che dicessi a Luca (che non parla francese) che qui si può fare di tutto. Si può bere, con moderazione, e guidare; la polizia ti ferma, se vede che hai la bottiglietta di rum lì davanti controlla che tu non sia messo male, e ti dice di fare attenzione e basta. Luca poi mi ha detto che mentre io ero girata da un’altra parte ed è arrivata una fustona nera con un bianco, lui gli ha fatto un gestaccio per fargli capire quanto ritenesse bona la ragazza. Forse non si riferiva solo all’alcool quando diceva che si può far tutto.

Port Salut beach bar

9 della sera. Con le PRESTIGE in spiaggia. In Rep. Dom. la birra nazionale è la Presidente, qui la Prestige. Bene. Piacere di conoscerti Prestige cara. Siamo noi e un’altra coppia. Mi piace. Poca luce, perché non c’è l’elettricità. E inizia a piovere anche. Questa baracchetta sulla spiaggia che serve pollo, pesce fritto e lambi ha tre tavolini sgangherati e quattro sedie di plastica. La birra non è neanche tanto fresca (il congelatore, comprato che già non funzionava più, non serve per tenere le cose al freddo, ma giusto per isolarle dalla calura esterna), ma l’atmosfera rilassata e alla buona fa pari con tutto.

Primi disagi ad Haiti

Primi disagi ad Haiti

19 Marzo 2014

7.02 del mattino. E’ da mezz’ora che aspettiamo che ci preparino la colazione, ma la prima “dipendente” è arrivata 10 minuti fa. Di notte c’eravamo solo noi qui dentro mi sa. Eppure ieri sera avevamo avvisato la ragazza che dovevamo partire presto. La stessa ragazza che ieri alle 6 era già qui. Proprio oggi si doveva prendere a letto? E’ arrivata ora e si è scusata dai. Io la perdono, Luca non so.

Ci hanno portato due frittatine con l’insalata (che Luca mi ha convinta a non mangiare) e un succo che non si capisce che cosa sia, ma troppo ghiacciato e non molto buono. Tanto pane, burro, due banane, acqua, una caraffa piena di caffè.

8.08 Siamo sul tap-tap. Abbastanza comodi per ora. Perlomeno i sedili sono imbottiti. Siamo in 4 su 3 posti, ma non ci si può lamentare. 150 HTG (3 euro scarsi) per Port-au-Prince, poi là si cambia per Les Cayes. Alla fermata dei tap-tap c’era un tipo che parlava un buon francese che ci ha spiegato di andare fino a Port-au-Prince, perché a Carrefour, un paesino dove consiglia di cambiare la Lonely Planet, è difficile trovare un tap-tap che ti porti Aux Cayes, bisogna cambiare un’infinità di tap-tap intermedi. Luca si è messo la sciarpa sul naso perché stanno bruciando della plastica da qualche parte. 8.30 A me sembra che siamo già piuttosto pieni, che stiamo aspettando? Luca dice che il fatto di dover andare fino a Port-au-Prince è un segno, dovremmo fermarci lì, senza tornare al Sud. Non ha proprio voglia di andare all’Ile-a-vache. Ci sono camionette della polizia dell’Onu che girano per Jacmel. A fare cosa non si sa bene.

9.52 Arrivati a PAP (Port-au-Prince). Bordello. All’entrata della città c’è una strada con un mercato, bancarelle e baracche, e sulla strada acqua mista a immondizie, macerie, sassi e polvere. Non stupisce che ci sia il colera. C’era un vecchietto che spalava merda da uno di questi scoli d’acqua, con gli stivali per fortuna. Da un tap-tap siamo saliti subito sull’altro (ho sentito parlare talmente tanto della delinquenza di PAP che sono contenta di non dover camminare in giro con gli zaini in spalla). Solo che su questo siamo solo in 3. Se aspettiamo che si riempia partiremo fra un paio d’ore e arriveremo a Cayes troppo tardi per il battello per l’isola della vacca.

Dopo che siamo partiti da Jacmel con il tap-tap siamo saliti su un monte. C’era un paesino con il mercato e degli asinelli parcheggiati da un lato; servono ai contadini per portare in giro i loro prodotti. Le bimbe hanno sui capelli fiocchi bianchi, azzurri o rosa, a seconda del colore della loro divisa scolastica.

Non so se Luca tornerà a casa con le scarpe. Qualcuno prima o poi gli taglierà i piedi per tenersele. E’ sceso dal tap-tap per fumare e tutti gli guardano i piedi. Un venditore di cosmetici è stato sul tap-tap 10 minuti per cercare di vendere un campioncino di profumo ad un haitiano seduto dietro di noi, e dei profilattici qui davanti. Alla fine se n’è andato senza vendere niente. Chissà quanto voleva per quei campioncini che da noi ti danno gratuitamente.

port au prince

La vista dal tap tap mentre aspettavamo di ripartire da PaP verso Port Salut

Forse era meglio se cambiavamo a Carrefour come diceva la guida. Perché abbiamo perso un’ora per entrare in città ed è già un’ora che siamo qui che aspettiamo che il bus si riempia. Sono le 11 e ci aspettano 4 ore di viaggio e ciò significa che perderemo il traghetto.

18h10 LES CAYES Siamo su un taxi condiviso in attesa di andare a Port Salut. Alla fine il tap-tap da PAP è partito alle 2 del pomeriggio (dopo 4 ore che ci siamo saliti) e siamo arrivati a Les Cayes da poco, troppo tardi per l’Ile-a-Vache. Speriamo ci sia posto da dormire al Coconut Breeze di Port Salut, dove stiamo andando in alternativa all’isola. E’ la mia sola preoccupazione al momento. E ho bisogno di prelevare. Odio trovarci senza soldi. Les Cayes è abbastanza grande, quindi dovrebbero esserci banche, ma non si sa mai.

23h

Mamma mia che giornata! Alla fine Port Salut non è a soli 30 minuti da Les Cayes, come dice la guida, ma a un’ora circa. La voiture si è riempita solo verso le 6.45, c’è voluto un po’ che sistemassero la situazione soldi (credo che l’incaricato a raccoglierli se ne sia intascati un po’) e siamo partiti per le 7, che cominciava a fare buio. Alle 8.30 siamo arrivati a Port Salut, ma nessuno sapeva dove fosse sto Coconut Breeze. I nostri compagni di viaggio sul cassone del pick-up (il taxi) hanno provato a chiamare parenti e amici per scoprire dov’era, ma niente. Hanno provato a chiamare anche l’hotel, ma non rispondeva nessuno. Il chauffeur ha iniziato ad arrabbiarsi e ci ha mollati là non appena è passato uno in moto. Il ragazzino della moto ci ha portati al Coconut; per strada dal peso ha fatto rua alta e Luca è saltato giù dalla moto in movimento (io ero in mezzo e mi son salvata). L’hotel però era chiuso. Io iniziavo ad impanicarmi e son caduta scendendo dalla moto (fatto niente). Eravamo un po’ scoraggiati e stanchi. Questa zona però per fortuna è piena di hotel e guest-house, abbiamo trovato presto un altro posto. La Pointe Sable è la guest house che ci ha ospitati. La camera costa un po’. Siamo riusciti ad abbassare il prezzo fino a 65 dollari, visto che restiamo 3 notti. Ma ero pronta a pagare i 100 dollari del Dan’s Creek (un bel hotel sull’oceano con una piscina) pur di avere un posto dove dormire.

Alla Pointe Sable c’era una festa al nostro arrivo. Stavano festeggiando il compleanno del papà del proprietario. Ci hanno offerto da bere e da mangiare. Un bel sollievo dopo la giornataccia di oggi. Comincia già a mancarmi la comodità della Repubblica Dominicana.