Pokhara

Pokhara

26 Settembre 2010

Domenica mattina a Pokhara. C’è un gran caldo e un bel sole. Internet mi sta facendo impazzire da quanto è lento, al solito.
Ho deciso di scrivere un blog per non star lì a mandare mille email con le stesse info, e soprattutto per mia mamma, che ogni volta che al telefono mi chiede cosa ho visto e cosa ho fatto non so cosa risponderle. Quindi non vi aspettate scene erotiche, perlomeno non con me protagonista (me le dovrei inventare comunque visto che io non becco mai!).
E così eccomi qua. Un po’ alla volta spero di riuscire a descrivere tutto il viaggio o almeno i passi più interessanti.
Pokhara è a 200 Km a ovest di Kathmandu, raggiungibile in 6-8 ore di bus. Ieri da Bandipur ci abbiamo messo 3 ore circa. Sul tetto del bus, di nuovo. Più comodo stavolta però, perché eravamo solo Hilde e io e c’era un sacco blu che mi son messa sotto la schiena; quasi prendevo sonno, si stava benissimo con quel sole. Hilde si è presa un filo elettrico in faccia, ma a parte questo tutto a posto (viaggiare sui tetti degli autobus offre una bella vista, ma bisogna stare attenti).

C’è un lago qui vicino, e siamo circondati dalle montagne del complesso dell’Annapurna. Un sacco di attività sono offerte ai turisti, dal bungee jumping al parapendio guidati da un falco, kayaking e meditazione, ma io che son pigra e paurosa non farò niente.

Siamo venute qui perché è il punto di partenza per uno dei trekking più famosi del Nepal. L’Annapurna. C’è la possibilità di fare il “circuito”, che in 14 giorni circa ti porta fino a 5416 metri di altitudine, ma noi ci limiteremo a fare quello che è chiamato il “santuario”, 12 giorni fino ad un max di 4095m. Questa è l’idea, ma finché non parto non ci credo. Son talmente pigra che potrei decidere di passare 10 giorni in riva al lago invece. E’ che non si può venire in Nepal e non andare a camminare, giusto? O forse sì… Magari se sfortunatamente mi slogo una caviglia prima della partenza…

Quando siamo arrivate in ostello ci siamo ritrovate in camera (un dormitorio da 6 letti) un ragazzo olandese conosciuto a Kathmandu. Un gran figo, ha fatto il modello ed ha partecipato a uno show in cui doveva viaggiare da Beijing a Bombay in autostop (n.d.r.: un reality che poi sbarcherà anche in Italia). Fa anche delle foto incredibili. Seduto di fronte a me in sto momento. Ha una bocca perfetta e una bella barba bionda.

pokhara

Non sembra di stare in Nepal qui. Si trovano addirittura bistecche ai ferri con le patatine. E la sera ci sono un sacco di locali con musica dal vivo fino alle prime ore del mattino. Ero abituata a Tibet e Kathmandu, dove tutto chiude tra le 22 e 24. Beh, ieri sera io alle 22 ero già stanca e ho piantato Hilde in un bar con la sua vodka. C’era anche sto J comunque, son sicura che non ha sentito la mia mancanza.

Si è fatto più caldo a Pokhara. Oggi pomeriggio dovremmo andare a procurarci il permesso per il trekking e a registrare il nostro itinerario. Se riesco a staccarmi da internet…

Post precedente: Bandipur.

Prossima fermata: Notte prima della faticaccia sadomaso.

Cronaca da Bandipur

Cronaca da Bandipur

24 Settembre 2010

C’è la luna piena a Bandipur. Bello. Soprattutto quando si viene da Kathmandu, dove non si vede niente a causa della cappa creata dall’inquinamento.

Un paesino bucolico sulle colline Nepalesi con ragazzi che giocano a calcio in infradito, alberi giganti, pannocchie messe ad asciugare.

travel blog

Guesthouse a Bandipur

Questa guest house è fenomenale. Mi sembra di vivere un’esperienza nel passato, al tempo in cui i miei genitori erano piccoli. Soffitto e porte sono in legno. Il pavimento è in terra battuta (boh, si dice così? Ho sentito parlare di “ferro” battuto, ma terra? ma E’ terra battuta). Ci sono ragni giganteschi che mi aspettano fuori dalla porta (e spero continuino ad aspettare fuori). Il bagno è uno sgabuzzino sul retro della casa, con un buco sul pavimento (con del cemento attorno però, piuttosto moderno). Non c’è lo sciacquone, ma un secchio con un pentolino. Credo che si possa usare la stessa acqua per lavare il pavimento o sé stessi dopo i bisogni, rigorosamente con la mano sinistra (con la destra si mangia e si stringono mani). Sopra la doccia un contenitore che raccoglie l’acqua piovana. Niente doccia per me stasera. La doccia fredda mi fa venire il mal di testa. Mi sono lavata alla nepalese. C’è sto quadrato di cemento in mezzo a una stanza, e due contenitori di acqua. Uno sembra più pulito dell’altro, quindi ho immaginato che il primo fosse per faccia e denti, il secondo per i piedi. Niente di particolarmente fuori dall’ordinario. Dopo aver visto uomini arzilli belli insaponati, nudi come mamma li ha fatti (solo un po’ più panciuti magari) lavarsi nel Lhasa River in Tibet, poco mi potrà sorprendere ancora. Anche in Nepal si lavano per strada. Lungo i ruscelli, se fuori città, o alle fontane pubbliche che ci sono in giro per le strade (come visto a Kathmandu). Interessante. Non sono fontane come le intendiamo noi, tipo la Trevi a Roma. Mi vien da dire che son tipo dei bagni romani, anche se non so perché, non so se nell’antica Roma avessero dei luoghi simili. Beh, son degli spiazzi di circa 10 x 10 metri, un paio di metri sotto il livello della strada, con un lavandino nel mezzo. La gente ci va per prendere secchi d’acqua per la giornata o per lavarsi. Un sacco di donne che si lavavano i capelli ho visto. E’ anche un luogo di incontro, dove i vicini scambiano due chiacchiere mentre aspettano il loro turno.

bandipur

Ho scordato di raccontare un aneddoto interessante sul viaggio tra Kathmandu e Bandipur. Eravamo su un microbus, che ha posto per 20 persone circa. Tutti schiacciati. La strada seguiva il fiume Trisuli, era tutta curve e gli autisti qui guidano all’impazzata. Risultato: 3 persone vomitavano. Nei loro bei sacchettini. In Italia l’autista si sarebbe fermato a far prendere aria. Non qui, non c’è tempo. La tizia davanti a me quando ha finito di vomitare ha alzato il suo bel sacchetto, mezzo pieno di liquido giallognolo. Il problema è che sto sacchetto aveva un buchino, e mentre lo buttava dal finestrino (alla faccia della plastica non biodegradabile) un schizzino di vomito mi ha colpito. Stranamente non aveva un brutto odore, quindi non mi ha dato particolarmente fastidio. Ha cominciato a preoccuparmi un po’ di più quando ha messo la testa parzialmente fuori dal finestrino, lì il rischio era molto più alto! Ma fortunatamente le è passato in fretta. Un’altra tizia una fila più avanti ha passato l’ultima mezz’ora con la testa dentro il suo sacchetto. Boh.

A Bandipur ho conosciuto il primo italiano di questo viaggio. Da Torino. Viaggia da 10 mesi. Ha ancora un 3-4 mesi davanti a lui, che passerà tra il Bangladesh, Iran e Medio Oriente. Interessante. Anzi, ora lo aggiungo a Facebook. (n.d.r. ora è diventato un fotografo abbastanza conosciuto, Luca Vasconi; in effetti fa delle foto pazzesche, ha una sensibilità particolare).

Ok, powercut. Sono le 23 e qualcosa e qui non c’è più elettricità. Ora di andare a dormire.

Post precedente: Kathmandu

Next stop: Pokhara

Primi giorni in Nepal

Primi giorni in Nepal

25 Settembre 2010

Una settimana fa passavo il confine. Divertente pensare che in 5 minuti a piedi siamo tornati indietro di due ore e 15 minuti (il Nepal ha sto orario strano, non so perché. Quando in Italia sono le 19.00 qui sono le 22.45). Sembrava di viaggiare nel tempo, oltre che nello spazio. Tra l’altro un controllo di passaporto alquanto inusuale a Kadari. Se uno non si preoccupa di recarsi allo sportello, si potrebbe entrare in Nepal senza timbro (e non so cosa succederebbe al momento di uscire visto che comunque c’è bisogno del visto per stare qui).

BACKPACKING IN NEPAL

Primo giorno in Nepal e già iniziava l’avventura. Anzi, parlerò al plurale, visto che ero con Lee e Hilde (con i quali ho girato il Tibet). Sapevamo che c’era un autobus che da Kadari porta a Kathmandu (con cambio di bus a Barabise). Eravamo ben contenti di aspettare l’autobus per un paio di ore, così da pagare sui 2.5 euro per l’intero viaggio anziché i 5 euro richiesti per un passaggio in 4×4 (cosa non si fa per risparmiare 2 euro quando si viaggia al risparmio!).

Dopo un’oretta di attesa abbiamo scoperto che non ci sarebbe stato nessun autobus perché una recente frana (che ho scoperto essere piuttosto frequente in Nepal) aveva interrotto la strada e reso impossibile l’arrivo dell’autobus. Così nostro malgrado abbiamo dovuto ricorrere alla jeep. Di cui data la mancanza di bus hanno aumentato la tariffa a 8 euro a persona. Vabbé. Per una volta, se non ci sono alternative, si può fare. Poco dopo Barabise, a un’ora e mezza dalla partenza, con altre 4 ore di fronte, un’altra frana ha bloccato la via. Per un po’ abbiamo aspettato, ne abbiamo approfittato per mangiare il nostro primo curry nepalese, e poi il driver ci ha informati che causa un masso troppo grosso che la gru non riusciva a spostare, avremmo dovuto prendere i nostri zaini, camminare oltre la frana e prendere un bus dall’altra parte verso Kathmandu.

Ok. Un po’ eccitante camminare sotto la frana fresca fresca, con i sassi ancora in movimento, ma tutto ok.

travel photography

La frana che ci ha costretti a cambiare mezzo di trasporto in Nepal

La parte divertente viene quando l’autobus per Kathmandu si presenta, pieno di gente (come c’era da immaginarsi, visto che c’era una fila di qualche chilometro di bus e jeep nella nostra stessa condizione), e così ci consigliano di salire sul tetto del bus. Non eravamo soli. Anzi, c’era un bordello di gente lì sopra.

All’inizio panico. Pensavo che sarebbe stata la nostra morte, che un balzo su una delle mille buche che tormentano le strade nepalesi o una curva troppo secca accentuata dal guidare pazzo di sta gente, ci avrebbe scaraventati giù dall’autobus.

E invece è stata un’esperienza meravigliosa. Vista a 360° dei monti verdissimi e delle risaie, scambio di saluti con la gente in strada che bada ai propri affari (quasi tutti hanno un negozietto o comunque vendono qualcosa lungo la strada), chiacchiere con i nuovi amici nepalesi. Di cui ho capito che non so dare l’età. Un ragazzino che pensavo avesse 16 anni in realtà ne aveva 26. Con moglie e bimbo da qualche parte. Ho anche imparato i numeri dall’uno al dieci (ma ricordo solo ek, dui, tin) e preso un sacco di acqua (la stagione delle piogge non è ancora finita qui). Comunque una volta che la pioggia cessava nel giro di cinque minuti eravamo asciutti.

Dopo 4 ore così, con il culo a righe bianche e blu (le assi di ferro che servono per portare i bagagli non sono state proprio gentili con i nostri posteriori) siamo finalmente arrivati a Kathmandu che era notte (6.30 pm ma buio pesto e stanca che mi sembrava fossero le due, anche per via del fuso orario).

Trovata guest house da 2.5 euro a notte e a letto. Prima però Facebook. Finalmente dopo quasi un mese in Cina dove Facebook è oscurato, son riuscita a “riconnettermi con il mondo”. E chiamata skype con i miei (n.d.r. era il 2010, ancora non c’era whatsapp).

Secondo giorno a Kathmandu. Mattina passata ad assaporare il gusto di avere internet in camera, cercando di caricare le foto di un mese in internet, con la connessione così lenta che ha dimostrato che la mia capacità pazientizia è molto migliorata. Pomeriggio in giro per il Thamel.

Kathmandu
Kathmandu

Next stop: Kathmandu.

Due settimane nei Balcani

Due settimane nei Balcani

Zaino in spalla nei Balcani

Nel maggio del 2016 ho viaggiato per due settimane nei Balcani; un periodo di tempo decisamente breve per conoscere bene questa regione, ma abbastanza per innamorarmici.

Sono partita da casa (a Vicenza) senza sapere l’itinerario del mio viaggio. Sapevo solo che sarei andata fino a Trieste in treno, e da lì avrei preso un autobus per Dubrovnik, in Croazia.

Trieste

Trieste, prima fermata

A Trieste avevo un’ora e mezza tra il treno e l’autobus, quindi ho deciso di fare una passeggiata verso la piazza principale, Piazza Unità d’Italia, che è una delle piazze più belle che io abbia mai visto e si trova a quindici minuti di cammino dalle due stazioni.

Ecco il video dell’ora che ho passato a Trieste:

10 minuti per entrare nei Balcani

Trieste è molto vicina al confine con la Slovenia, così dopo appena dieci minuti sull’autobus ero già nei Balcani. Ma mi ci son volute 15 ore per arrivare a Dubrovnik. Comunque, solo passare il confine e vedere segnali stradali in un’altra lingua mi ha tuffato in uno stato di euforia.

E’ stato interessante entrare nel nord della Croazia e vedere i cartelli pubblicizzare le cliniche dentarie. Ce n’erano talmente tanti che dà l’impressione che persino il postino si sia messo a fare il dentista in Croazia. Recentemente alle Iene hanno fatto un servizio sui viaggi “sanitari” verso la Croazia dall’Italia per rifarsi i denti: costa molto meno che da noi (anche includendo le spese per il viaggio) e il servizio è buono.

Ho lasciato Trieste alle 18.30 e il mattino seguente, alle 9.30 (con un’ora di ritardo) ero a Dubrovnik. Sono andata subito in ostello a depositare lo zaino e farmi una doccia (per fortuna il mio letto era già pronto) e sono uscita immediatamente. Avevo visto molte foto di Dubrovnik e non vedevo l’ora di vederla dal vivo. Non mi ha delusa affatto.

Balkans Dubrovnik

Dubrovnik

L’unico aspetto negativo di questa bellissima città circondata da mura: le navi da crociera fanno sosta qui e ogni giorno sfornano migliaia di turisti sulle sue strade.

Montenegro

Dopo Dubrovnik ho deciso di andare in Montenegro. Kotor si trova ad un paio d’ore da Dubrovnik. Di nuovo, una bella sosta per le navi da crociera, una città murata, un posto da favola. Quel che mi è subito piaciuto sono stati i buonissimi spiedini per pochi euro: i montenegrini adorano il cibo alla griglia! E anch’io. Soprattutto quando costa poco.

Kotor Balkans

Kotor, Montenegro

Kotor può essere visitata in poche ore, così al secondo giorno ho fatto una gita nel nord del Montenegro, organizzata da un’agenzia di fronte all’ostello. Costava solo 39 euro e mi sarebbe stato difficile andarci con i mezzi pubblici, così contrariamente alla mia “policy” in fatto di viaggi, ho partecipato a questo tour. Con il senno di poi, e considerato quel che ho visto (anche se non ci siamo fermati a fare foto dove avrei voluto), penso di aver fatto proprio bene. Abbiamo visto il Lago Salato, il ponte Tara, il Parco Nazionale del Durmitor con il Lago Nero, e il monastero di Ostrog, incastonato nella montagna.

Durmitor Balkans

Durmitor National Park in Montenegro

In questi primi giorni di viaggio avevo deciso di andare in Kosovo, Macedonia, Albania e da lì prendere il traghetto per l’Italia, ma l’autobus da Podgorica, la capitale del Montenegro, arriva a Pristina in Kosovo alle 5 del mattino. E cosa potevo fare a quell’ora in una città nuova? Mi è capitato in passato di arrivare molto presto in un posto nuovo, e non mi va di ripeterlo; mi sa che sto diventando vecchia.

Quindi il giorno dopo sono partita per Ulcinj, al confine con l’Albania, con una sosta a Budva lungo il tragitto.

Budva, un’altra incredibile cittadella murata lungo il mare, una destinazione balneare tanto amata da montenegrini, russi e ucraini.

budva balkans

Budva, una delle favorite destinazioni balneari del Montenegro

Dopo un paio d’ore passate camminando tra gli stretti vicoli di Budva, ho preso un autobus per Ulcinj. C’era un incidente per strada e siamo stati fermi per circa un’ora; praticamente ho perso il pomeriggio intero per fare 2 ore d’auto. Ma capita quando giri zaino in spalla, quindi me ne sono fatta una ragione. Anzi, ne ho approfittato per vedere il lato positivo della situazione: ho studiato come i montenegrini reagiscono quando sono bloccati sulla strada e non sanno perché né per quanto ci dovranno rimanere. Diventano agitati e arrabbiati. Proprio come gli italiani. Non siamo poi così diversi alla fine. Tuttavia non so se quelle persone sul bus con me fossero effettivamente montenegrini; perché il Montenegro è un miscuglio di razze: ci sono molti serbi, croati, albanesi e macedoni, e anche rom.

Ulcinj faceva parte dell’Albania fino a qualche anno fa, e il suo nome ha una pronuncia diversa a seconda dell’interlocutore. Sapevo che questo paesino sarebbe stato un’anteprima dell’Albania, ed ero molto emozionata all’idea. E cosa ci ho trovato? Solo uomini nei bar. Cioé, ci sono donne per strada e nei negozi, ma nei bar solo uomini. E io. Interessante.

Ulcinj

Ulcinj

Un’altra cittadella murata, con spiagge nudiste, ottimo cibo e caffè delizioso. Sfortunatamente avevo poco tempo da passare qui, mi sono fermata una sola notte. Il giorno seguente ero già diretta in Albania.

Albania

Gli albanesi non hanno una bella reputazione in Italia, ma mentre vivevo a Londra ed anche qui ad Arzignano, ho conosciuto vari albanesi che mi sono sembrati simpatici e interessanti. Quindi da tanto volevo andare a vedere il loro paese natale di persona e conoscerli nel loro ambiente naturale.

La prima fermata è stata Shkoder. Una bella città con influenze veneziane nell’architettura e nella lingua, una bellissima cultura dello stare fuori casa e di conseguenza molti bar lungo la strada (alcuni – bar sportivi, dove fanno vedere partite di calcio o altro in continuazione e si può scommettere – solo per uomini, altri con uomini e donne).

Shkoder Albania

La strada pedonale di Shkoder

Sono arrivata verso le 6.30 della sera e come sempre mi sono diretta subito all’ostello. Un paio d’ore più tardi ero innamorata dell’Albania. Probabilmente sono state tutte le persone a passeggio o in bici sulla strada pedonale di Shkoder che mi hanno fatto innamorare (ma probabilmente anche l’ottimo cibo a basso costo ha aiutato). Gli albanesi sono molto accoglienti, pronti ad aiutarti se ti sei perso, non hanno mai cercato di approfittarsi di una “ragazza” che viaggia da sola, curiosi, apprezzano passare tempo con gli amici di persona.

Il giorno seguente ho attraverso il lago Koman (un lago artificiale) per andare a Valbona. Una delle barche che attraversano il lago è costruita partendo da un vecchio autobus tedesco e si ferma in quel che sembra il nulla lungo il lago ma poi vedi dei vecchietti nei loro completi grigi e cappelli salire sentieri nascosti verso case nascoste perse sulle pendici scoscese delle montagne che scendono verso il lago.

Koman Albania

Lago Koman

L’idea iniziale era di camminare da Valbona a Theth, una passeggiata di 6 ore, ma alcune persone a Shkoder mi hanno spaventata, raccontandomi di una signora tedesca che era morta lungo il percorso qualche mese fa. Quindi ho fatto delle camminate dalle parti di Valbona e sono tornata per la stessa strada, di nuovo attraverso il lago. Valbona è incredibile. Persa nelle montagne. Un posto di pace e pastori, di turismo tranquillo, ma con un grande potenziale. Scommetto che diventerà super turistica tra non molto.

Valbona Albania

Il mio “hotel” a Valbona

Da Valbona sono tornata a Shkoder e da lì a Tirana, a due ore d’autobus. Devo dire che Tirana non è stata la mia destinazione favorita. Tutti gli edifici religiosi sono stati distrutti durante il comunismo; l’unico sopravvissuto è una vecchia moschea.

Tirana Albania

Vecchia moschea a Tirana

Ma una cosa mi è piaciuta moltissimo di Tirana: i bar all’aperto, alcuni in bellissimi giardini, e di nuovo moltissime persone che passano tempo in strada. Mi dispiace che in Italia abbiamo perso questa bella abitudine. Cioé, ci troviamo ancora al bar con gli amici o per strada, ma non come in Albania.

tirana balkans

Bar all’aperto a Tirana

Ho passato la giornata passeggiando per Tirana e il giorno seguente ho preso un autobus per Berat.

Berat è anche chiamata la “città dalle mille finestre”. La sua caratteristica sono queste case ottomane che in effetti hanno molte più finestre di quanto siamo abituati; da questo il nome. E’ un Sito Unesco Patrimonio dell’Umanità dal 2008. Molto carina.

berat balkans

Berat, la città dalle mille finestre

Dopo Berat sono andata a Gjirokaster, a sud, vicino al confine greco. Mi piace perché nonostante sia un sito Unesco, c’è pochissimo turismo. Ma le cose stanno per cambiare, o almeno così pensa (e spera) William, il proprietario olandese del più bell’ostello che io abbia mai visto.

Gjirokaster Albania

L’incrocio che è anche il centro della città vecchia di Gjirokaster

Durante il comunismo sono stati costruiti molti bunker in Albania, per proteggere la Nomenclatura contro possibili attacchi nucleari. A Gjirokaster ce n’è uno bello grande che può essere visitato, con lunghi tunnel e molte stanze. Suggestivo.

balkans

A bunker in Gjirokaster

Ho fatto delle camminate anche sulle colline vicino a Gjirokaster, per vedere un anfiteatro romano e due monasteri abbandonati molti anni fa.

Gjirokaster Balkans

Un monastero sulle colline vicino a Gjirokaster

Da Gjirokaster sono tornata a Durres, poco distante da Tirana; grazie alle nuove strade ci si impiega solo 3 ore. Da qui ho preso un traghetto notturno per Bari, che mi è costato solo 30 euro, meno di quanto avevo visto in internet.

Siamo arrivati a Bari verso le 9 della mattina. Ho deciso di prendere il treno per Vicenza nel pomeriggio, così da poter girare un po’ anche per Bari. La città vecchia è di una bellezza incredibile. Avevo già visto delle foto di Lecce e sapevo che la Puglia è molto bella, ma non mi aspettavo che Bari lo fosse così tanto.

bari

Incredibile Bari

Si udiva musica uscire da molte finestre e la gente chiacchierava sulle sedie davanti alla porta di casa (era il 2 Giugno, quindi erano tutti a casa per la Festa della Repubblica). Ma due signori del posto mi hanno avvertito di stare attenta alle mie cose. Ero così tranquilla e senza pensieri in Albania, mi ero scordata che in Italia devi tenere d’occhio portafoglio e macchina fotografica. Ma non è successo niente, nonostante stessi camminando con uno zaino grande sulle spalle uno più piccolo davanti, macchina fotografica al collo e telefono in tasca. Mi sono davvero goduta le mie quattro ore a Bari.

Ho scoperto un nuovo bellissimo mondo abitato da persone calorose a poche ore da casa. Mi chiedo come mai mi ci sia voluto così tanto per andare di là dall’Adriatico e non voglio aspettare molto prima di tornarci. C’è molto altro che voglio vedere nei Balcani.

Viaggio zaino in spalla in Repubblica Dominicana e Haiti

Viaggio zaino in spalla in Repubblica Dominicana e Haiti

Itinerario di 40 giorni da Santo Domingo a Port au Prince e ritorno

Nel 2014 ho viaggiato con il mio ragazzo nella Repubblica Dominicana e Haiti, zaino in spalla e mezzi pubblici. Come al solito abbiamo lasciato l’Italia senza avere un itinerario preciso in mente, decisi a farci guidare dalle nostre sensazioni lungo la strada.

Siamo arrivati a Santo Domingo dopo un lungo viaggio con una pausa di molte ore a New York, un volo lungo che ci ha fatto risparmiare un po’ di soldi ma ci ha anche stremati.

Santo Domingo è la capitale della repubblica, una bella città con architettura coloniale interessante. Può anche spaventare in alcune aree, in particolare attorno al Parque Enriquillo, dove partono gli autobus che girano per il paese. Luca era un po’ scosso il primo giorno, prima di allora aveva girato solo in Europa, non era abituato al caos e al traffico disordinato e pericoloso.

Santo Domingo

Da Santo Domingo abbiamo deciso di andare a sud-ovest, vicino alla costa. Los Patos era descritta dalla Lonely Planet come la migliore spiaggia del sud. Quindi ci siamo andati, perché volevamo vedere zone diverse del paese. E in effetti si stava bene. C’erano pochissimi turisti stranieri, molti turisti locali, quindi la destinazione ideale per chi cerca questo, mentre nel nord ci sono molti più turisti internazionali ed è forse un po’ meno autentico.

Dopo Los Patos siamo andati a Pedernales, vicino al confine con Haiti. Da lì abbiamo fatto una gita a Bahia de Las Aguilas, un parco naturale con una delle spiagge più belle in cui sono stata, raggiungibile solo in barca. Eravamo vicino ad Haiti, ma ancora non avevamo deciso se passare il confine o no. Tutti quelli con cui parlavamo sconsigliavano di andarci, perché era pericolosa e cara. Probabilmente è stato proprio questo a convincerci ad andare. E la vera avventura iniziò.

baia delle aquile
Baia delle Aquile

Il viaggio avventuroso ad Haiti

Appena dopo il confine abbiamo dovuto passare la notte su una barca per arrivare al primo paese haitiano, perché andare via terra avrebbe richiesto qualche giornata.

La prima tappa ad Haiti fu Jacmel, una cittadina di artisti molto carina sulla costa sud, che portava ancora i segni del disastroso terremoto del 2010.

Qui abbiamo avuto un anticipo di come sarebbe stato viaggiare ad Haiti: sporco, caotico, quasi impossibile prelevare soldi.

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This is how we were going to travel in Haiti

Da Jacmel abbiamo preso un tap-tap per Port au Prince e da lì direttamente a Port Salut. Fu il primo dei molti lunghi viaggi che avremmo dovuto affrontare ad Haiti. Usare i mezzi pubblici non è facile ad Haiti. Ogni volta impiegavamo moltissime ore per fare qualche centinaio di chilometri. E’ probabilmente il lato peggiore del viaggiare zaino in spalla ad Haiti, perché si perde un sacco di tempo e ci si stanca molto.

Port Salut è un luogo di villeggiatura carino, calmo e rilassato. Da qui siamo andati a Les Cayes in giornata, con l’idea di fare un salto anche all’Ile de Vache, ma i ritardi causati dai trasporti e dalla ricerca di un bancomat ce l’hanno impedito.

Dopo Port Salut siamo saliti a Port au Prince, la capitale. Il primo impatto non è stato dei migliori, in quanto appena arrivati un ragazzo ha cercato di rubare dalle nostre tasche e dallo zaino. Il centro di Port au Prince non è male, a parte il caldo e la polvere, ma appena fuori dalle strade e piazza principali è un casino e per niente rassicurante. Comunque abbiamo visto un po’ di arte Vudù, che era il motivo principale per cui volevo venire ad Haiti.

Da Port au Prince un altro luuuungo e pauroso viaggio fino a Cap Haitien. Cap Haitien sarebbe anche carina e pulita, molto diversa dalla capitale, pur essendo una città grande. Ma questo nel centro, appena fuori c’è un canale pieno di rifiuti, un gran brutto vedere.

Coming out of school in Cap Haitien

Da Cap Haitien abbiamo passato la frontiera per tornare in Repubblica Dominicana (quindi praticamente siamo entrati ad Haiti da sud e usciti da nord; c’è un altro passaggio al centro, lungo una strada che collega le due capitali, se non sbaglio).

Un viaggio zaino in spalla molto più facile in Repubblica Dominicana

Che bella sensazione essere di nuovo in Repubblica Dominicana! Ci siamo resi conto di quanto sia stato difficile viaggiare ad Haiti. La Rep Dom è molto più economica, è molto più facile girare, cibo e caffè sono disponibili praticamente ovunque, si può prelevare denaro da qualsiasi bancomat, gli hotel sono puliti. Ora, qualche anno più tardi, sono felice di quella esperienza ad Haiti, ma non so se riuscirei a rifarla, è stato veramente stancante. Probabilmente è più semplice se hai soldi e puoi noleggiare un’auto o un autista. Cap Haitien comunque è stato il posto più carino.

Arrivati in Repubblica Dominicana abbiamo passato alcuni giorni a Monte Cristi, per riprenderci e rifocillarci. Da qui siamo poi andati a Santiago e Constanza, sulle montagne.

Dopodiché solo spiagge. Ed ogni posto è stato piacevole e accogliente.

La prima spiaggia è stata a Cabarete, un posto per amanti del surf. Era il primo posto dove incontravamo tanti turisti stranieri; tutta la costa nord ha molti turisti stranieri, in particolare dagli Stati Uniti (e anche molti italiani e francesi che si sono trasferiti lì dopo la pensione). A Cabarete ho mangiato la miglior colazione della mia vita.

rio san juan
Beach in Rio San Juan

Siamo andati ad ovest fino a Rio San Juan, dove non c’è molto da fare o da vedere, ma che ho amato, forse proprio per la sua atmosfera rilassata. Dopodiché siamo passati alla penisola di Samanà, con Las Terrenas e Las Galeras. Carino, molto turistico.

Da qui abbiamo attraversato il paese e siamo passati alla costa sud. Avevamo valutato l’opzione di stare un paio di giorni in uno dei resort full inclusive della costa est, pagare 80 dollari al giorno per prendere il sole e abbuffarci (si mangia molto pollo in Repubblica Dominicana, a un certo punto hai proprio voglia di qualcosa di diverso), ma non ci era rimasto molto tempo e così siamo andati direttamente a sud.

Boca de Yuma è carina ma Luca non si sentiva molto bene (anzi, proprio male, mi ha spaventata), quindi non ce la siamo goduta tanto. Da lì a Juan Dolio, ultima tappa. Siamo stati in questo paesino lungo il mare fino al volo di ritorno e abbiamo fatto una gita di una giornata a Santo Domingo, dove si celebrava la Pasqua. Quanto siamo arrivati in Repubblica Dominicana non ci siamo fermati a lungo a Santo Domingo perché pensavamo di tornarci prima della partenza. Invece quando siamo stati a Juan Dolio ci hanno consigliato di rimanere lì a dormire e di fare solo una gita a Santo Domingo. E non è stata una brutta idea.

Ripeterei questo viaggio tra Repubblicana Dominicana e Haiti? Sì, e probabilmente rifarei un itinerario simile. So che Haiti è stato un incubo, ma vorrei vedere se è cambiata la situazione. Gli Haitiani non meritano di vivere così.