Lindi

Lindi

11 Giugno 2012

Stanno tutti guardando Inghilterra-Francia. In Europa come in Tanzania. Ho saputo dalla gente in strada stamattina che l’Italia ieri ha pareggiato con la Spagna. Della gente al pub mi aveva invitata a guardare la partita con loro stasera, ma non mi va di star fuori col buio (e qui alle 18.30 è già notte).

All’inizio Lindi non mi aveva fatto un’ottima impressione. Stamattina quando sono uscita ho camminato un po’ lungo l’oceano e dei pescatori a cui avevo fatto una foto da moooolto distante (facce indistinguibili) mi hanno fatto andare da loro e quando sono stata lì mi han chiesto dei soldi per la foto. 100 Tsh, cioè 5 centesimi di euro. Più una presa per i fondelli che una vera richiesta di risarcimento, ma mi ha un po’ disturbata la cosa. Poi però sono stata in stazione a fare colazione (vicino alle stazioni dei bus ci son sempre i baretti più loschi ed economici) e finalmente ho avuto la mia razione di chai e chapati che tanto mi mancava. E lì fuori ho parlato un po’ con un signore simpatico. Praticamente in 10 minuti avevo già visto tutto quel che c’era da vedere in città. La costa con i pescatori, la German Boma anche qui come a Mikindani, però abbandonata e decadente. La rotatoria principale. I due ristoranti indicati nella Lonely Planet. Non sapendo cosa fare mi son lanciata in uno di questi per una seconda colazione. Con caffè stavolta. Niente a che vedere con il caffè del Africafé in Arusha, un normale caffè solubile, però mi dà l’illusione di bere qualcosa di cui ho bisogno. Sono stata lì quasi un’ora. Poi mi son alzata con l’idea di tornare in albergo per stare un po’ in internet, perlomeno durante le ore calde (il tè e il caffè mi avevano fatto sudare come una matta), e son passata vicino al pub dei poliziotti con la pubblicità della birra in bella mostra e mi è venuta una gran voglia di berne una. 11.30 della mattina. Lì c’era un tipo, Cuthbert, che mentre prendevo la birra ha cominciato a parlarmi un po’. Mi son seduta a un tavolo e ho cominciato a leggere il mio libro e la cameriera mi porta un tovagliolo con il numero di telefono di Cuthbert. Poi mi arriva una birra offerta da lui (ops). E dopo un po’ arriva pure lui. Alla fine la birra è andata a un suo “fratello” (io ero già brillina dopo la prima), ma mi ha offerto il pranzo (indovinate un po’? Chipsi mayhai, la frittata di patatine). Siamo stati lì un paio d’ore a parlare di niente. Mi ha detto di essere un businessman. Qui un po’ tutti se non hanno un lavoro con un nome determinato, sono “agents” o “business people”. Questo lo doveva essere per davvero visto che portava le scarpe. Ha fatto un po’ il misterioso, ma alla fine mi ha detto che vende carbone a Dar Es Salaam. Non ho capito bene, ma non dev’essere completamente legale, perché deve pagare i poliziotti e tenerseli amici (per questo è sempre al bar della polizia). Mentre eravamo lì è venuto un vecchietto a vendere cocomeri; gli ha chiesto qualcosa in swahili, si allontata e dopo un po’ lo vedo che torna con due sigarette, una per lui e una per Cuthbert; si era seduto al tavolo con noi ma il mio amico l’ha mandato via. Credo gli abbia offerto il pranzo però, oltre alla cicca. Comunque dopo un paio d’ore ha deciso che ne aveva abbastanza e mi ha detto che aveva una questione da sbrigare. E’ tornato all’altro tavolo a finirsi la birra con gli amici. Ci siamo dati appuntamento per le 6 della sera per fare non so che.

lindi

Allora son tornata in albergo. Ci son stata poco, giusto per lasciare che passasse la calura di mezzogiorno. Alle 3.30 circa sono andata in spiaggia a leggere. All’ombra, perché vestita da capo a piedi non sto bene al sole. Una ragazza è venuta a chiedermi dei soldi, ma non ha insistito troppo. Una barchetta ha attraccato in spiaggia e dal nulla è comparsa una folla di gente per partecipare alla solita asta del pescato. Dopo un po’ è arrivato Francis. Visto che sembrava non volermi lasciare sola, gli ho chiesto di accompagnarmi per una passeggiata lungo il mare. Abbiamo camminato a lungo ed è stato molto piacevole perché parlava un buon inglese e mi ha spiegato bene il sistema scolastico tanzaniano. Praticamente le scuole pubbliche sono gratis per i primi 7 anni (primarie) e costano poco per le superiori. Però se non superi gli esami del settimo anno, non puoi passare alle secondarie. Puoi solo entrare in una scuola privata, che però solo in pochi si possono permettere. Ci sono anche università pubbliche, a numero chiuso, solo per i più meritevoli, e lui è uno di questi. Ha studiato medicina e lavora all’ospedale regionale di Lindi. Spera un giorno di riuscire a fare un master all’estero, perché sarebbe un’ottima esperienza per il suo curriculum, ma è molto difficile ottenere delle borse di studio. Siamo passati davanti a un gruppo di persone che ho visto in spiaggia anche ieri sera; mi avevano invitato a pregare con loro. Francis mi ha spiegato che stanno facendo le prove di canto. In spiaggia perché con il rumore delle onde che copre il coro, si sforzano di più e la loro voce diventa più forte. O qualcosa del genere. Mi è dispiaciuto doverlo mollare per andare da Cuthbert, ed ero tornata a cercarlo, ma non ho ben capito in che bar era andato a vedere la partita. Comunque cavoli, anche qua faccio fatica a star dietro a tutti i miei uomini! 🙂 ovviamente è una battuta.

E poi questi altri che mi hanno invitata a vedere la partita con loro, e l’oceano a due passi (anche se ci posso mettere solo i piedi dentro, il suono delle onde mi culla la notte), la guest house che è carina e costa poco (oggi hanno fatto le pulizie, mi hanno cambiato le lenzuola e messo un asciugamano pulito e il sapone, manca solo la carta igienica)… mi è venuta voglia di star qua un’altra notte. Vediamo come mi sveglio domani mattina.

Mi sa che non vado a vedere il secondo tempo perché ho già sonno.

Mikindani

Mikindani

10 Giugno 2012

Sembra che il mio blog stia diventando un po’ noioso. Un po’ come il mio viaggio del resto. Cioè, negli ultimi giorni non ho fatto che passare di paese in paese, girovagando tra le vie, con poco di interessante da raccontare, forse perché la gente qua al sud parla poco inglese, e non essendoci delle vere e proprie attrazioni turistiche, non è che mi resti molto da fare.

Comunque la gente qui anche se non mi parla è molto gentile. Sono meno abituati agli stranieri, anche se a Mtwara in realtà vivono circa 800 occidentali, ma stanno sulle piattaforme petrolifere nell’oceano (mi è stato detto).

Mikindani è un paesino swahili molto carino a soli 10 Km da Mtwara. Un tempo era il porto più importante della zona. Con l’abolizione della schiavitù ha perso importanza e solo alla fine dell’Ottocento con l’occupazione tedesca è tornato ad essere un grosso centro commerciale. A testimonianza di questo restano il vecchio mercato degli schiavi, che ora è occupato da un paio di negozietti, e l’Old Boma, la sede centrale del governo tedesco del tempo, che è stato restaurato in un hotel bellissimo.

L’albergo dove sto a Mikindani organizza immersioni dalle parti di Mtwara, così stamattina poco dopo il mio arrivo ne ho fatta una. Siamo ripassati per il fish market, speravo di ritrovarci il mio bel pescatore, ma con la bassa marea si riposa anche lui. Sono stata in acqua un’ora quasi. La visibilità non era perfetta, però ho visto qualche pesciolino carino e qualcuno che mi ha spaventata; comunque era da quasi tre anni che non facevo un’immersione, è stato un bel modo tranquillo di riprendere confidenza. E’ bello tornare tra i pescetti ogni tanto.

Di ritorno a Mikindani, non ho fatto in tempo ad allontanarmi più di 100m dal mio albergo (molto carino tra l’altro, e tra i più cari in cui sono stata finora) che subito sono stata accalappiata dal mio amico-guida dell’occasione. Ismu. Penso abbia sui 17 anni. Non gliel’ho chiesto. Il suo inglese non è ottimo, ma lui sembra non esserne consapevole, dato che si dilunga in spiegazioni dei vari edifici di cui capivo praticamente niente. Però è stato carino. Più che altro perché la sua compagnia mi ha permesso di avvicinarmi alla gente del luogo. Qui in Tanzania gli adulti difficilmente sono felici che si prenda foto di loro, e se non sanno parlare inglese difficilmente ti salutano, soprattutto le donne. Al mercato di Mikindani ho comprato del pane dolce fritto e delle noccioline, che son stata felice di condividere con dei bambini che erano lì in strada (ci sono un sacco di bambini ovunque in Tanzania!!), e in cambio mi hanno permesso di fotografarli. Belli che sono! Poco più avanti c’erano delle donne che ballavano mentre un’altra batteva il ritmo su un secchio rovesciato. Mi hanno invitata ad aggiungermi a loro. Che ridere. Mi facevano vedere come sculettano loro e quando io cercavo di imitarle scoppiavano a ridere. E quando ho preso il più piccolo dei bambini come mio cavaliere si sono messe a ridere ancora di più. Ho solo dovuto fare una piccola offerta per non so quale causa.

Dopo un paio d’ore in giro per il villaggio Ismu mi ha portata a bere una sprite lungo la costa. Avevano messo tre sdraio di plastica su un soppalco sopra la spiaggia piena di sacchetti di plastica, con dei teli a riparare dal sole e da sguardi indiscreti. Ismu si è messo le mie ciabatte e i miei occhiali ed ha voluto che gli facessi una foto. Faceva ridere. Ne devo stampare una e mandargliela. In realtà la manderò all’albergo e loro la consegneranno a lui. Ho visto a Mtwara che negli uffici postali ci sono delle cassette numerate. Penso sia lì che le famiglie ricevono posta. Dovrebbero tornare a fare qualcosa del genere anche in Italia, visto come funziona il servizio di consegna della posta.

A Mikindani ho scoperto che in Tanzania ci sono 3 livelli di ristoranti: quelli che non hanno neanche un’insegna fuori, praticamente sono la cucina di una famiglia, in cui puoi fare colazione per 500 Tsh, circa 25 centesimi, e 700 per l’ugali con verdure. I ristoranti locali veri e propri, dove ce ne vogliono 50 di centesimi per far colazione e circa 2000 per cenare. E i ristoranti occidentali, di solito gestiti da occidentali, che costano come da noi o quasi. Io ovviamente questi li evito completamente. Al massimo ci vado per una birra, se hanno un giardino o una vista particolarmente carini. L’albergo dove sono alloggiata ha un ristorante che è piuttosto conosciuto in questa zona della Tanzania, ed ha sempre clienti stranieri che vengono da fuori Mikindani, per cui sono stati piuttosto sorpresi quando hanno visto che non ho mangiato lì. Diciamo che non sono stata la loro cliente ideale. Spesso vengono qui per il week end stranieri che vivono a Dar Es Salaam. In effetti è un bellissimo posto per rilassarsi, si possono fare immersioni o snorkelling o noleggiare una canoa e farsi un giretto nella baia. C’è addirittura uno “yacht club” (senza yachts) con una guardia che tiene alla larga sguardi indiscreti se si ha voglia di fare un bagno in mare (solo con l’alta marea però).

La stessa notte che sono stata io a Mikindani c’era anche un gruppo curioso di persone. Ho scoperto poi che si trovavano lì da diverse parti della Tanzania per un meeting di lavoro. Il gruppo era composto da un austriaco che vive in Tanzania da 23 anni e in Africa da quasi 30, una ragazza indiana che gestisce un’agenzia ad Arusha che organizza tour in qualsiasi parte della Tanzania, un altro tizio sempre di origine indiana sembrava, che però non so cosa faccia, e un membro del Parlamento della Tanzania. E’ stato proprio quest’ultimo che è venuto a parlarmi e mi ha proposto di farmi accompagnare a Lindi dall’austriaco. Il MP avrebbe preso un aereo per Dodoma invece. Mi ha dato anche il suo biglietto da visita. Non so a cosa mi possa servire l’email di un parlamentare Tanzaniano, ma è stato molto gentile con me e penso che possa fare qualcosa di buono per il suo paese. Mi sembrava un po’ di stare con Nelson Mandela. Così con l’austriaco ho accompagnato l’MP e gli indiani-tanzaniani all’aereoporto, e poi noi siamo andati a Lindi.

Il viaggio in macchina è stato una bella alternativa ai soliti bus super affollati. E ho avuto l’occasione di parlare con qualcuno che conosce il Paese abbastanza bene. Mi ha confermato che la gente del Sud è molto più ospitale del resto della Tanzania. E nonostante quel che si dice, non è vero che sono scansafatiche. Lui non tornerebbe in Austria perché qui la gente sa godersi la vita molto di più, non come in Europa che ci si preoccupa solo del lavoro. Sarà che qui se uno ha buone idee trova comunque qualcosa da fare e non è tanto difficile iniziare un’attività come da noi. E la gente ride ancora di cuore. Quand’è stata l’ultima volta che ho riso veramente io?

Mtwara

Mtwara

8 Giugno 2012

Sono a Mtwara, la città più a sud lungo la costa. Da qui si può andare in Mozambico, durante la stagione delle piogge, quando il traghetto può transitare sul fiume Ruvuma che divide i due paesi.

Dovrebbe essere una città grande, in realtà è poco più che un paesino, con poco da fare. L’attrazione principale è il mercato del pesce, sulla costa, dove soprattutto la mattina presto e nel tardo pomeriggio si tengono delle aste di pesce. I pescatori vanno con delle canoe vicino a una penisola lì di fronte, e quando tornano mettono il bottino in bella mostra e lo vendono al miglior offerente. Ci sono arrivata ieri sera per sbaglio. Perché è un po’ un casino girare per questa città. Ci sono due strade principali più migliaia di stradine non indicate nella mappa della Lonely Planet, e il posto dove sto io è fuori dalla cartina. Per tornare ho seguito il sole, che a quell’ora mi indicava dov’è l’occidente. Sono un’esploratrice provetta oramai.

Che bello il mercato. Un pescatore mi ha beccata mentre gli facevo la foto. Per fortuna non si è arrabbiato, anzi, si è messo a ridere. Ieri sera un ragazzino mozambicano mi ha scritto un bigliettino d’amore. Metà in un inglese sgangherato e metà in portoghese. E oggi pomeriggio mentre ero qua che mi riparavo dalla calura di metà giornata, un altro tipo che parla solo poche parole di inglese è riuscito a farmi capire comunque che vorrebbe essere mio “amico” e accompagnarmi lungo le prossime tappe del mio viaggio. Era anche piacente il tipo, e avrei potuto imparare un po’ di swahili da lui, non so cosa mi abbia fatto declinare l’invito. Ovviamente mi ha chiesto come mai non ho figli. Lui ne ha due, ma niente moglie. Porta troppi problemi. Meglio una Mzungo. -.-‘ comunque è abbastanza comune qui proliferare in giro e stare single. Per questo quando parlano con me non si stupiscono tanto che non sia sposata, quanto del fatto che non ho figli.

Per la prima volta da quando sono in Tanzania ho deciso di stare in un posto lontano dalla stazione dei bus. Di solito preferisco stare in centro, così che posso muovermi comodamente a piedi. Ma avevo proprio bisogno di riposarmi dopo 3 giorni di viaggio che mi hanno stremato, e qui si sta benissimo. C’è un bar con un ristorante, super caro (ieri sera ho cenato qui e mi ha chiesto 7 euro!!! Stasera in un ristorante locale ho mangiato per 50 centesimi), che però ha sempre un po’ di clienti. Gente benestante, per permettersi questi prezzi. E stranieri. Comunque ho dormito divinamente. E’ gestito da una signora polacca, che era sposata a un Tanzaniano, ora morto. Parla swahili meglio dell’inglese, mi fa un’invidia!!

Oggi volevo andare presto presto al porto, ma non ce l’ho fatta. Mi sono alzata alle 7 e sono andata lì con calma. Ho fatto colazione con chapati e chai. Che buono! E ho rivisto il mio bel pescatore (l’ho riconosciuto dai vestiti e dal berretto). Poi sono stata un po’ in giro per il paese, accompagnata da Marami, che viene da Dar Es Salaam ed è qui a studiare Ingegneria Informatica. Non aveva altro da fare evidentemente. Beh, almeno son riuscita a capire un po’ meglio il labirinto di viette. Siamo stati un’ora al bar a bere un caffè mentre io scrivevo sul mio diario e leggevo la guida e lui faceva niente. Sembrano abituati qui a non far niente. Aspettano il bus per due ore o più senza un giornale in mano. Stanno al ristorante ad aspettare un piatto di patatine per mezz’ora, sguardo perso nel vuoto. Siedono davanti casa accogliendo con entusiasmo i due bus che passano nel corso della giornata. Stanno per un’ora in un bar a guardare un’italiana che scrive. Io non riesco neanche più a guardare un film senza fare qualcos’altro nello stesso tempo, tipo un puzzle o un cruciverba. Per fortuna ho sempre da scrivere con me. Così riempio i miei quaderni di cazzate, perché non è che ho sempre qualcosa di interessante da dire. E’ mancata la corrente. Piuttosto comune qua. Comunque stavo camminando con Marami, e gli ho chiesto se va mai a nuotare alla spiaggia qua vicino. No, non gli piace e non è capace. Gli piace giocare a calcio. Non oggi però, non sta tanto bene. “e cos’hai?”. “ho la malaria”, mi risponde. Così, come fosse un raffreddore.

17.00 Fa un gran caldo oggi pomeriggio. Per fortuna ogni tanto per strada qualcuno vende delle arance, son così rinfrescanti e dissetanti! Sono in spiaggia. Un insetto dispettoso si è divertito a sfigurare le mie caviglie. Che invidia quel ragazzo che sta facendo il bagno! Anche se avessi il costume non potrei entrare in acqua perché le donne non fanno il bagno, e le poche che lo fanno sono vestite. Poco più in là un altro tizio sta facendo le capriole. Si sta allenando a fare i salti mortali. Ha un bel fisico il tipetto! Da piccola anch’io mi divertivo a fare i salti così. Secondo me se mi fossi allenata avrei potuto imparare. Mi ricordo che alle medie ho fatto una capriola senza mettere giù le mani e la prof mi ha sgridata. E anche sul lettone di mamma facevo dei gran salti. Prendevo la rincorsa dal bagno. Però finivo giù con la schiena, non in piedi. Mi hanno sempre affascinato. Per questo trovo sto tipo particolarmente fico. Ora sta facendo delle spaccate per aria. Ha fatto una serie di 4 salti. Wow. Anch’io voglio.

Mi sa che dovrò aspettare Zanzibar per fare un bagno.

22h27 Ci dev’essere una chiesa qui vicino. Sento cantare Halleluja e altri gospel. A quest’ora? A cena stasera ho mangiato ugali con fagioli e verdure cotte. Ho dovuto farmi portare un cucchiaio perché non son riuscita a capire come si prendono su i fagioli. In teoria bisogna schiacciare per benino l’ugali (che visivamente somiglia a un puré di patate ma come sapore sa di … niente) con le mani, per compattarlo, ma come ci metto i fagioli in mezzo? Mentre mangiavo mi facevano compagnia due ragazzi. Quando hanno saputo che sono cattolica mi hanno invitata ad andare a pregare con loro alla chiesa dell’università questo week end. Ops. Il fatto che non vado a Messa deve averli delusi più che mio papà. Prendono molto seriamente la religione qui mi sa.

C’è una lucertolina che ama nascondersi dalle parti del mio zaino. Se vuol venire in Italia illegalmente, faccia pure. Ci penserà Cagliostro a farle la festa!

Rough Road 2

Rough Road 2

7 Giugno 2012

Pensavo che il pericolo più grande che potessi correre qui in Tanzania fosse cadere dentro un tombino (non hanno coperchi) e rompermi una gamba, soprattutto quando devo prendere il bus alle 5 di mattina che è ancora buio (non c’è illuminazione per le strade, ma per fortuna c’è la luna piena in questi giorni). E invece ho scoperto che c’è qualcosa di molto più pericoloso: viaggiare su un minibus per le strade non asfaltate.

Il viaggio da Songea a Masasi è stato un incubo. Il mio posto era in fondo, nell’angolo, dove solo dei bambini sarebbero stati comodi. Le mie ginocchia urtavano il sedile davanti e non potevo mettermi in nessun’altra posizione perché non c’era altro spazio. Eravamo stipati come galline, e il corridoio era stato riempito di valigie, sacchi di riso e mais, scatole. Quindi ogni volta che dovevo uscire per fare la pipì (non potevo tenermela per 11 ore, nonostante cercassi di bere il meno possibile) dovevo scavalcare tutti i sedili per arrivare al mio posto. Dopo circa un’ora che eravamo per strada, con il bus che andava a una velocità da paura, tra salti e curve, abbiamo sbandato in una maniera paurosa. Credevo si sarebbe ribaltato. Ci fermiamo, e i 4 aiutanti saltano giù e si precipitano verso il retro del bus. Ho subito pensato che avessimo investito qualcuno e stessero andando a soccorrerlo. Invece lì in mezzo alla strada c’era il ragazzo che sfortunatamente si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato e hanno cominciato a riempirlo di calci e pugni. Dopo un po’ il malcapitato è riuscito a liberarsi e scappare, ma ne ha prese un bel po’. La gente sul bus sembrava soddisfatta. Il bruto che aveva quasi provocato un incidente era stato giustamente punito. Io ero sotto shock.

Siamo ripartiti, più veloci di prima. Allora mi son messa a dormire. O a far finta. Preferivo non vedere quel che succedeva intorno a me. Ho aperto il finestrino, per avere una via di fuga in caso ci fossimo trovati con le ruote per aria, e ho appoggiato la testa sul sedile davanti. In quella posizione stavo anche un po’ più comoda perché il bacino stava più indietro e le ginocchia mi dolevano leggermente meno.

A Tunduru, più o meno metà strada, un po’ di gente è scesa. Molta di più è salita. Quando son tornata sul bus, dopo la pausa-pipì, ho trovato un borsone al mio posto. Subito ho pensato che fosse una fortuna, perché mi ci potevo sedere sopra e lasciare le gambe libere e comode sopra il sedile di fianco. Ma un tizio è salito poco dopo che siamo partiti (è entrato dal finestrino perché dalla porta non passava un ago, anzi due tipi vi erano appesi fuori) e si è seduto dietro con noi. Addio spazio per le mie gambe. Ho dovuto tenere le gambe piegate sul borsone per le restanti 5 ore, solo quando ci fermavamo le stiravo fuori dal finestrino. Non ce la facevo più. Sono arrivata a Masasi con la testa che scoppiava. Ho finito il pacchetto di biscotti, mi son presa le pastiglie per la malaria e alle 7 ero a letto.

Il giorno dopo un altro microbus, però la strada era asfaltata e anche se correva come un pazzo pure questo autista, sembrava leggermente meno pericoloso. Poi le mie gambe stavano abbastanza comode, quindi non mi tomentava più di tanto. Ma ero ansiosa di arrivare a Mtwara per potermi finalmente riposare e invece ci siamo fermati 3 volte a fissare non so cosa sotto il bus e le 4 ore che dovevano bastare si son trasformate in 6. Vabbè? Alla fine a Mtwara ho trovato un posto super tranquillo e mi son ripresa alla grande.  

Iringa

Iringa

4 Giugno 2012

Oggi son proprio gnocca. Mi vedo riflessa sullo schermo del notebook. Ho i capelli belli ricciolosi perché li ho lavati ieri. Sono un po’ abbronzata in faccia (tutto il resto invece è bianco, tranne magari un po’ le braccia). Ho degli orecchini nuovi che la  mia compagna di camera ad Arusha ha dimenticato quando è partita (ha lasciato un intero borsellino pieno di orecchini e braccialetti, è stato come trovare un tesoro per me!). E mi son messa la gonna. Lunga. L’unica cosa che stona un po’ è la maglietta bianca non più bianca e che sicuramente non tornerà più come prima finché la lavo a mano.

Sono le 12h47, sono sveglia dalle 7, e ancora non ho visto niente di Iringa. Perché subito dopo colazione mi sono fiondata in un internet point dove ho comprato un credito di 3 giorni (che però ho già finito perché mi permetteva di scaricare solo 80MB) per aggiornare il blog. Ovviamente connessione super lenta e son dovuta restare lì per 3 ore per caricare le foto del safari. Poi son venuta in questo coffeeshop consigliato dalla Lonely Planet, dove c’è UNLIMITED coffee per 2.500 Tsh (1.25€), e chi me lo fa fare di alzarmi da qui? Sono già alla seconda tazza. Questo posto è un ritrovo per stranieri. I prezzi sono semi-occidentali, servono hamburger e panini, l’ambiente è ricercato (stile africano nei sogni degli occidentali, con palme e tavoli in legno, non il vero africano decadente fatto di tovaglie di plastica e muri sgretolati), e hanno un bel bagno con carta igienica e acqua corrente. In realtà son finita qui per questo. Cioé, avevo bisogno di un bagno, sapevo che qui l’avrei trovato, e quando ho chiesto se potevo andarci mi hanno risposto “hai intenzione di prendere qualcosa?”. Ops. Niente di più anti-tanzaniano di questo. Nei ristoranti africani frequentati dai locali non solo puoi andare al bagno quando vuoi, ma puoi anche portarti da mangiare da casa e berti solo una birra, o star seduto lì senza prendere niente, giusto per stare un po’ in pace. C’è un gruppo di inglesi che sta pranzando con torte salate e cappuccini. Probabilmente gestiscono un’agenzia di safari (Iringa è vicino al Ruaha National Park, meno visitato degli altri parchi del Nord, ma ugualmente suggestivo) e mi stanno piuttosto antipatici. Sono un po’ arroganti. I classici bianchi che fanno una vita da signori in un paese di poveracci. 

La ragazza indiana ieri sul bus mi aveva detto che Iringa è il suo posto preferito, non abiterebbe da nessun’altra parte. E aveva anticipato che mi sarebbe piaciuta, perché ci avrei trovato molti compagni viaggiatori. Mi ha consigliato di restare almeno una settimana, di andare a vedere un campeggio un po’ fuori città perché lì ci vanno tanti stranieri e mi ha raccomandato un hotel preferito tra i miei “amici”. Lei evidentemente non si sente molto Tanzaniana, anche se è nata ad Iringa, e apprezza la compagnia dei turisti; lo si vedeva anche da come era infastidita dagli altri passeggeri sul bus mentre con me aveva un tono smielato.

Iringa è molto carina, con le sue belle case e la gente simpatica, ma devo stare attenta. E’ una trappola! Ti seduce con la sua accoglienza e la comodità dei suoi servizi, ma è molto lontana dall’Africa che son venuta a vedere, con il chai a 300 Tsh e i bambini che ti guardano come fossi un alieno. E nessuno mi ha chiamata Mzungo!! Ok, mi ha fatto comodo riconnettermi col mondo per un po’, ma meglio scappare di qua. Domani prendo subito il bus per Songea.

Rough Road

Rough Road

June 3, 2012

7am della domenica e le strade sono piene di gente. Stanno andando a Messa, chi a quella Luterana, chi a quella anglicana. Dalla Luterana esce della bella musica. E gli strillini del matrimonio (vedi Dar Es Salaam). lo sono al mio bar preferito che faccio colazione. Da Dodoma fino a Iringa ci sono due strade. Una che fa il giro largo via Morongoro, tutta asfaltata. E una che chiamano scorciatoia, che va dritta fino a Iringa, ma non è asfaltata. Costa la metà andare per la scorciatoia, e questo basta a convincermi. Alle 7.30 devo essere in stazione per l’appello. Il bus però non parte prima delle 8.30. 7h25 Cavoli, ho già sudato. Deve fare piuttosto caldo qui durante il giorno. Sono 270 km fino a Iringa, e ci vogliono 8 ore o più.

9h46 Altri 219 km. Ho fatto bene a prendere la scorciatoia. Si va piano tra le campagne e i villaggi di case rosse. MLONA si chama questo paese. La corriera è un rottame. Gli interni sono coperti di polvere rossa, ci sono buchi dove una volta c’erano bottoni, per accenderla basta connettere due fili, il contachilometri e altri strumenti non funzionano, il cambio ogni tanto si inceppa, ma l’autista conosce la sua creatura e possiamo stare tranquilli. Stanno costruendo una nuova strada per collegare Dodoma e Iringa. Per farlo hanno sradicato un sacco di piante secolari (o perlomeno così sembra dalla dimensione dei tronchi). Il rullo per spianare e altri macchinari sono di fabbricazione cinese. L’autista fa mille cose mentre guida. Chiama e scrive da due cellulari diversi, controlla i conti dei passeggeri, beve, mangia, conta soldi, ritira biglietti, impartisce ordini. Ma mi ha fatto sedere davanti da dove posso controllare tutto, mi sta simpatico. Hanno barattato dei pomodori con un po’ di latte di capra portato dai bambini dei villaggi. Uno degli aiutanti del bus è proprio bello. Sporco e senza mutande ma sorridente e bello. A un altro villaggio hanno comprato due cosce di capra, direi dalle dimensioni. Le hanno appese al tettuccio senza plastica o altri contenitori, e son lì che penzolano sopra la testa dell’autista. Il bus è sempre strapieno. Non si può chiamare un viaggiare comodi. E per fortuna io sono seduta! Forse avrei dovuto pagare 0,30€ per il sacchetto per coprire lo zaino. Sono curiosa di vedere come sarà.

Uno dei controllori ha comprato tre galline, vive. Le mette nel bagagliaio. Ah no, le porta su con noi. L’appalto per la costruzione della strada deve essere stato vinto da una compagnia cinese perché ogni tanto si vedono occhi a mandorla sotto un cappello di paglia e vestiti puliti. Devono essere gli ingegneri che controllano i lavori. Siamo passati anche vicino al quartier generale dei cinesi. Case nuove e bianche con i condizionatori e macchine giganti in cortile; stonano un po’ se paragonate alle case di terra e legno, senza acqua né elettricità, a pochi metri di distanza.

16h30 Povere galline. Danno qualche segno di vita solo quando qualcuno ci pesta sopra. Mi passa la voglia di mangiare carne. E’ salita una ragazza di origine indiana. Si è seduta vicino a me e si è messa a leggere un libro in inglese. Fa un po’ la principessina, si scoccia se i poveri disgraziati che sono in piedi la toccano o se per sbaglio le pestano i piedi. Ah, è la sorella dell’autista. Mi dà alcuni suggerimenti su cosa fare a Iringa. Dice che non c’è la piscina purtroppo. A Dodoma sì. Sono stata a vederla? Beh, veramente visitare la piscina non era tra le mie priorità. Ma evidentemente per loro sì. Anche a Moshi un tipo mi aveva portato a vedere la loro piscina tutto orgoglioso. In effetti  in un paese dove l’acqua è un bene prezioso, una piscina deve avere un significato diverso.

19h00 Siamo arrivati a Iringa verso le 17.30. Ho mangiato una pannocchia lessa per pranzo, ho un po’ fame ora. Sto aspettando la solita frittata con patate. Domani devo assolutamente andare in un ristorante decente e mangiare qualcosa di diverso. Mi piace Iringa. E’ tranquilla, con belle case, gente simpatica e ospitale. Sono in un albergo un po’ fuori, sembra tranquillo. Spero di riuscire a dormire bene.