3 giorni a Stone Town

3 giorni a Stone Town

18 Giugno 2012

Questa mattina alle 5 sono stata svegliata da delle voci. Non erano iene stavolta. Facevano ancora più paura. Uno spacciatore cercava di farsi dare dei soldi da un cliente che non voleva pagare. Non so cosa sia successo alla fine, ma credo che il ragazzo inglese sia riuscito a scappare. Rischia di prenderle per 10 euro. Boh.

Jackson. L’ho incontrato oggi pomeriggio in strada. Mi ha commosso chiacchierare con lui. E’ nato qua, ma i suoi antenati sono del Congo, schiavi liberati. Fa parte del 2% dei Tanzaniani cristiani. Non lo sente come un problema, basta non andare in cerca di guai. Lui è contrario alla separazione di Zanzibar dalla Tanganyika, perché vorrebbe dire debolezza, per entrambe. E’ cristiano, ma è convinto che ci sia un solo Dio uguale per tutti, l’Amore. Mentre siamo lì a parlare si sentono delle urla provenire dal Jaw’s Corner, dove ci si trova tutti i pomeriggi a giocare a domino, dopo la preghiera delle 4. Stanno discutendo sull’indipendenza e sul ruolo del movimento islamico, mi spiega. Quando dopo un po’ passo di là il mio amico Ali mi conferma che sì, sono un po’ agitati oggi pomeriggio. Meglio che torni più tardi. Ok. Vado allo Slave Market intanto.

Visita allo Slave Market di Stone Town

Come guida mi danno Joseph, che studia legge. Carino, anche lui cristiano, simpatico e mi racconta un sacco di aneddoti. Vedendo che prendo appunti, si mette a dettarmi la storia della schiavitù a Zanzibar. I Portoghesi iniziarono il mercato degli schiavi nel 15° secolo, dall’Africa Orientale portavano manodopera in Brasile e Caraibi. Alla fine del XVII secolo i portoghesi furono cacciati dagli arabi di Oman, che li sostituirono nel commercio. La destinazione però cambiò: Madagascar, a lavorare nei campi di canna da zucchero, in Seychelles, a Zanzibar nelle piantagioni di spezie, o come concubine in Oman e India. Gli schiavi venivano tenuti in 15 stanzette di circa 15 metri quadrati. Ci stavano 50 uomini, oppure 70 tra donne e bambini. Incatenati, ricevevano acqua e cibo una volta al giorno. Le stanze, con finestre minuscole, avevano il pavimento in fango e un canaletto in mezzo alla stanza come bagno, che veniva pulito una volta al giorno dall’alta marea. Molti morivano di fame, soffocamento e malattie prima di essere venduti. C’era una pianta di Jojoba a cui venivano legati uno alla volta, e frustrati davanti ai possibili acquirenti. Quanto più uno urlava, tanto meno valeva. Il 6 giugno 1873 gli inglesi obbligarono gli arabi a interrompere il traffico di schiavi. La sede del mercato venne chiusa. Il commercio però continuò, di nascosto, e gli schiavi anziché a Stone Town venivano tenuti nascosti in caverne sulla costa Nord-Est di Zanzibar, fino al 1907. Un missionario comprò la sede del mercato e ci costruì una chiesa sopra. Al suo interno c’è uno degli organi più vecchi che si trovano in Africa, è del 1880, portato dall’Inghilterra. All’entrata della chiesa ci sono delle colonne, che son state messe capovolte per errore, con la base in alto. Il vescovo che supervisionava la costruzione della chiesa si era dovuto assentare per un periodo, e al suo ritorno si è ritrovato con le colonne sotto-sopra. Beh, non è stata tanta colpa dei Tanzaniani che non avevano mai visto colonne simili prima e non avevano idea di quale fosse il verso giusto.

16h10 sono al Traveller’s Café. Il caffè costa caretto, 2500 Tsh ed è di quelli solubili, ma la location è spettacolare. C’è un pezzetto di spiaggia qua davanti, dove dei ragazzini giocano a calcio. Sono tornata da Ali prima. Mi ha spiegato che loro preferiscono separarsi dalla Mainland perché tutte le tasse che pagano vanno a Dar Es Salaam e loro non vedono niente (mi sembra di aver già sentito questa storia). I sistemi scolastico e sanitario sono pessimi, e stavano molto meglio prima. Non so mai come rispondere, perché non so cosa sia vero, se veramente la capitale non investe abbastanza sull’isola. Quel che so è che al Sud della Tanzania stanno messi peggio di qua. Per quanto riguarda le chiese a cui è stato dato fuoco qualche settimana fa, è stata opera degli uomini del governo che li vogliono discreditare. Loro non hanno niente contro i cristiani. Sono cresciuti insieme, mangiano insieme, giocano a domino, convivono da secoli; a Zanzibar è stata costruita la prima chiesa dell’Africa Orientale e la cattedrale è a due passi da una moschea. Ali è nato a Zanzibar, il padre a Pemba e la madre a Tanga mi sembra, sulla costa della Mainland. I nonni però sono di Muscat. Era sposato ma la moglie l’ha tradito e non è riuscito a perdonarla. Adesso lei è sposata con un olandese e vive in Europa.

Magari mi faccio anch’io il bagno vestita come quei bambini, che me frega? E’ che poi ci metto una vita ad asciugarmi. Ad un tavolo qui vicino c’è un signore olandese che è anche lui in vacanza. Da 8 anni. Non riesce ad andarsene. Il miscuglio di razze di Zanzibar mi piace un sacco. Ognuno ha antenati che vengono da posti diversi. Sono belli. E parlano un buon inglese quasi tutti. ll che non aiuta il mio apprendimento dello Swahili.

19h45 sono tornata ai Giardini e son stata riacciuffata da Oki Doki, che vuole venire sulla costa a Nord con me. Perché vuole che la mia vacanza sia migliore di quello che mi aspetto. Che palle, non riesco a liberarmene. Rafiki rafiki mi chiama, amica. See….. mi porta a prendere una bibita al Sunrise, arriviamo tardi per la partita dell’Italia, e alla fine del primo tempo con la scusa che ho sonno me ne torno al mio albergo. Lì vicino guardavano pure gli europei, ma preferivano la Spagna. Peccato.

sunset in stone town

Prison Island, isola delle tartarughe, Stone Town

19 giugno

Non so che ore siano. Asubuhi comunque, mattina. Prison Island. In realtà non ha mai funzionato come prigione. I monsoni nei Paesi intorno all’Oceano Indiano da dicembe a marzo portavano un sacco di barche piene di merci, indiani, arabi e malattie. Così hanno deciso di usare l’isola per mettere in quarantena gli ammalati.

Ora sull’isola c’è un hotel costosissimo e un centro per la salvaguardia delle tartarughe giganti. La più vecchia ha 150 anni. 150 a passare le giornate a mangiare e dormire!!! Dev’essere una noia…

Andiamo anche a fare snorkelling qua vicino. Ci sono dei bei coralli e pescetti. E meduse. Resisto poco in acqua. Pausa in spiaggia ad asciugarci e poi torniamo a Stone Town.

Pranzo al mio posticino preferito dove mi posso mangiare chapati e una zuppa buonissima di pomodoro, cipolla e dei pezzi di carne. Poi caffettino al Jaw’s Corner (il vecchietto vende il caffè a 0.05 euro l’uno, ma ne vende talmente tanti che a fine giornata qualcosa da mettere sotto i tenti ce l’ha! E’ anche buono il caffè, non è di quelli solubili). C’è un Barber Shop al Jaw’s Corner, dove Ali tiene nascosta la sua bottiglietta di whisky e viene a farsi un bicchierino  tra una partita a domino e l’altra, senza che gli altri musulmani convinti lo vedano. Anche il Barber Shop è piuttosto indaffarato, tanti vanno a farsi la barba lì, non avendo elettricità a casa, e appesi a un muro ci sono caricabatterie per qualsiasi tipo di telefono, a disposizione dei clienti.

20h sono al Sunrise con Ali questa volta. Ali mi piace, almeno è simpatico e allegro e mi racconta storie interessanti. Siamo qui con i suoi amici, che si fanno un aperitivo a base di gin & tonic prima di cena, se si ricordano di mangiare. Un belga, che vive qua da 12 anni, è sposato con una del posto e ha 4 figli; ha aperto uno dei locali più frequentati dai turisti di Stone Town, ma ora si occupa principalmente di consulenze (di che tipo non ho capito). Joy, chiamato così perché quando beve si mette a cantare e ballare. Creamy, che non ho capito cosa faccia. Sono tutti sulla cinquantina, piuttosto benestanti direi, da quanto spendono in liquori. Si aggiunge un altro, un po’ più giovane, che cerca consiglio perché la moglie vuole divorziare ma lui non se la sente, ci è troppo affezionato, anche se lei lo tradisce, ha passato buona parte della sua vita con lei e non saprebbe stare senza. Lei per amore di lui si è convertita da cristiana a musulmana. Manca solo il terzo divorzio, quello definitivo. Sì, si convince, domani firma. Ali riceve una chiamata. Una famiglia dalla Mainland è appena sbarcata a Stone Town e cerca una casa da affittare per un mese. In 3 cercano di sistemare la famiglia appena arrivata. Il quarto continua a parlare di sua moglie, un po’ da solo, un po’ rivolgendosi a me. Lei non lo ama più ma non importa, vuole continuare a vivere nella stessa casa. Basta che veda l’altro con discrezione. Arriva un altro ragazzo, un artista, a scroccare una canna. Il belga è felice del suo matrimonio, mi dice, ma quando la moglie lo vede tornare a casa tutte le sere per cena ubriaco e fumato, sarà contenta?

20 Giugno

Sono ancora a Stone Town. Non riesco ad andarmene. Domani dai. Sono alla spiaggetta sotto al Traveller’s café. Edi mi sta insegnando un po’ di Swahili. Fin troppo. Probabilmente non ricorderò neanche una delle mille parole che sta cercando di insegnarmi. In cambio io gli insegno un po’ di italiano, che lui già parla un pochino. Mi diceva Oki Doki che gli italiani sono dei buoni turisti. Ce ne sono tanti che vengono qua, di solito viaggiano in gruppo, in gite di una giornata dal villaggio in cui stanno sulla spiaggia, e spendono un po’ di soldi in souvenirs. Quindi la gente di Stone Town li accoglie volentieri. E quindi tutti parlano un pochino di italiano. L’altro giorno uno mi parlava con un accento calabrese da far paura! Mi dispiace per la gente che viene a Zanzibar e sta solo nei villaggi turistici. Si perdono un sacco. 

15h30 Jaw’s Corner. Il torneo inizia tra mezz’oretta. Intanto è pronto il caffé. E’ un’ora che aspetto. Nel frattempo il ragazzo del Barber Shop mi ha messo un po’ di musica nella usb e mi ha invitata a bere qualcosa e si è offerto di accompagnarmi a Nord. Pure lui. Ha 26 anni, è sposato, e mi ha pure fatto conoscere suo figlio. Che vuole da me? La faccia che fa il tipo indiano quando gioca a domino! E come si incazza con il compagno se sbaglia qualche mossa!! mi sembra di vedere i vecchietti all’acli.

18h20 Sono di nuovo alla spiaggetta del Traveller’s Café. Sono venuta a vedere il mio amico (che non ricordo neanche come si chiama) giocare a calcio. Cinque giorni che sono qua e mi conoscono tutti per strada. Penso che ci starei bene in questo posto. Dei ragazzini sono venuti in spiaggia ad allenarsi a fare i salti.

Ups and Downs in Stone Town

Ups and Downs in Stone Town

17 Giugno 2012

Tre voglie in particolare mi sono venute in questi ultimi giorni:

1. Cucinare. Non appena torno a casa accetto prenotazioni.

2. Andare a Sottomarina con i miei amici e la sera fermarci a mangiare la pizza a Chioggia.

3. Mettermi qualcosa di diverso da vestire. E’ un mese che metto le solite 3 magliette.

Sono le 15.38 e sono in camera, a Stone Town. Avevo bisogno di una pausa. Pensavo che Zanzibar sarebbe stata ancora più cara del resto della Tanzania, invece più o meno spendo gli stessi soldi. Per dormire ho pagato 20USD la prima notte, ma poi con la minaccia che avrei cambiato posto, il tipo mi ha abbassato il prezzo fino a 12USD. Ok. Bene. Ci sto dentro. Ieri sera ho speso 5000 Tsh per provare il polipo alla griglia ai Forodhani Gardens, dove tutti i turisti vanno a cenare almeno una volta quando sono qua, ma era troppo duro. Tornerò al mio riso da 1000 Tsh stasera. L’unica cosa che mi costa tanto è il caffè, se voglio quello macinato fresco: 3000 Tsh (1,5 euro).

Stone Town è un labirinto. Mi ricorda la medina di Fez. Se non hai qualcuno che ti accompagna, la prima volta è impossibile trovare l’albergo che cerchi. Anche la quinta in realtà. Per fortuna c’è sempre qualcuno disposto ad accompagnarti. E’ molto bella la città. Gli edifici sono un mix di stili, arabo, indiano, africano ed europeo. Nei corsi dei secoli da qui sono passate un sacco di persone, soprattutto mercanti, schiavi e marinai dell’Oceano Indiano (indiani e arabi). Da qui è partito David Livingstone per le sue esplorazioni dell’Africa e qui è nato Faroukh Bulsara, prima di diventare Freddy Mercury, ma non si sa dove di preciso. Mi piace questo mischiotto. Anche le persone sono un bel mix: ci sono neri nerissimi, e neri dai tratti arabi e indiani. E come nel resto della Tanzania convivono musulmani e cristiani. Un paio di settimane fa però qualcuno ha dato fuoco a 4 chiese, qua a Stone Town. Alcuni musulmani vogliono una Zanzibar indipendente e islamica. Non sono sicura che però un paese simile attirerebbe tutti questi turisti. L’ambasciata italiana a Dar Es Salaam mi aveva mandato un sms avvisandomi di evitare alcune zone di Stone Town (che non so neanche dove siano, probabilmente fuori dal centro turistico). Comunque ora è tranquillo, la polizia sta bene attenta a che non ci siano altri disordini.

L’unica scocciatura del camminare per la città è che tutti ti chiamano per venderti tours, il giro delle spezie, all’Isola della prigione (dove ci sono le tartarughe giganti), a vedere i delfini, o la barchetta al tramonto. Io non ho voglia di fare neanche uno di questi. Mi basta girare per le stradine, giocare a calcio con una bottiglia di plastica e un bimbo di 5 anni, guardare gli uomini che giocano a domino e che per farsi i segni battono le pedine sul tavolo in una maniera assordante, dividere le mie arance da 5 centesimi con i bambini, bere il caffè in strada dalla stessa tazzina usata un secondo prima da un altro cliente, dopo una veloce risciacquata nella solita bacinella (bello trovare il caffè così disponibile dappertutto, dopo un mese in cui dovevo cercare duramente per berne uno!).  

Stamattina ho fatto colazione con due koreane. Mi hanno detto che sono in viaggio per un mese. Ah bene, solo in Tanzania? Ho chiesto. Sìsì, mi risponde una. “Ma dai, delle koreane atipiche”, penso. E invece la sua amica subito la corregge “no no, un mese in Africa! Siamo state in Sud Africa, Namibia, Botswana, Zimbabwe, Malawi, Zambia e dopo la Tanzania andiamo in Kenya”. Ah ecco. Mi sembrava strano.

20h57

Sono da poco tornata in albergo. Ho passato le ultime due ore ai giardini con un rastaman. All’inizio mi ispirava simpatia, ma poi quando mi ha invitata ad andare dai delfini o dalle tartarughe giganti a “local prices” (cioè prezzi che pagherebbero la gente del posto, suoi amici, non i turisti), quando in realtà sono gli stessi prezzi che ho visto in giro finora, ho capito che voleva solo quello che vogliono tutti qua da un mzungo. Soldi. E in più mi ha presa per una sprovveduta, a quanto pare. Come se in due giorni che sono a Zanzibar non sapessi già quanto costa uno spice tour (tour delle spezie). E quando mi ha detto che qui scoprirò che la gente è molto più gentile e ospitale della gente della Tanganyika (ancora chiama la Tanzania continentale con il suo vecchio nome, dopo 48 anni che Tanganyika e Zanzibar si sono unite in un’unica repubblica), mi ha dato un po’ fastidio. Perché è vero che a Dar Es Salaam e Arusha non sarei uscita da sola di notte, mentre qui non mi spaventa, ma non mi può toccare la simpatia e spontaneità di tutti quelli che ho incontrato finora. Dice che non saranno un unico stato a lungo ancora, perché tutti vogliono la separazione. Tutti in Zanzibar forse. E’ nato musulmano, ma ora è metà rastafan o come si dice non lo so (e non so bene che tipo di religione sia; lui comunque lo fa perché così i turisti sanno che è un tipo tranquillo e gli chiedono da fumare). Mi ha raccontato di come qui sia stata costruita la prima chiesa in tutto l’Est Africa, non mi ricordo neanche in che anno, come a testimoniare quanto sono di mentalità aperta, pur essendo per il 98% musulmani. Volevo chiedergli il suo parere sulle chiese a cui hanno dato fuoco qualche settimana fa, ma non me ne ha dato l’occasione. Mmm… fastidio. Dice che mi posso sentire a casa mia. Beh, mi sentivo più a casa a Lindi o a Kilwa. Qui, soprattutto la zona dei giardini, mi sembra tutto un lavorarsi i turisti.

Poi mi sono infilata in mezzo alle viette dove mi son bevuta una tazza di latte caldo in compagnia di un vecchietto ed è tornato il sereno.

Piccola parentesi

Piccola parentesi

June 16, 2012

Cara Paola,

ti ricordi quella volta che scendendo dall’Etna abbiamo sentito “Obsession” degli Aventura per radio? Era una delle prime volte che la ascoltavamo e all’epoca ci entusiasmava; ad Arzignano ancora non era arrivata, la davano per radio solo da Roma in giù. Ci siamo fermate a ballare lungo la strada. O forse non è vero, ma la voglia di farlo era talmente forte che nei miei ricordi è come se fosse successo per davvero. L’ho riascoltata qualche sera fa, sul mio mp3 di un’altra epoca che uso solo quando sono in viaggio. Così ti ho pensata.

Ecco. Mi piace viaggiare da sola, son convinta che sia molto più facile venire a contatto con le persone del posto se ti vedono sola, sono incuriosite e meno vergognose. Però è anche bello condividere bei momenti con qualcuno con cui ti trovi bene. Ho dei bei ricordi, anche se come sai la mia memoria non è il massimo. Forse per questo scrivo. Magari un giorno rileggerò tutti i miei diari e penserò “ma dai, ma davvero sonti stà in Tanzania?”. Anche se sono una solitaria, ho bisogno di parlare con qualcuno ogni tanto; a volte mi stanco pure di scrivere. E’ che ho passato un paio di pomeriggi un po’ annoiata, a Lindi, non c’era nessuno in giro che volesse intrattenermi. Avevo preso l’abitudine di guardare alla TV delle telenovele sudamericane orribili! Ora mi son ripresa alla grande. Però ecco, quel che voglio dire è che non è che viaggiare sia sempre rose e fiori. E stare un po’ da soli fa apprezzare di più le amicizie lasciate a casa.

Tutto qua. Salutami gli altri miei amici e i miei. Dighe che ve porto sempre con mi.

Come preparare l’ugali in 11 mosse

16 Giugno 2012

  1. Accendere il fuoco 
  2. Prendere una pentola abbastanza grande 
  3. Mettere l’acqua
  4. Mettere sul fuoco 
  5. Aspettare 15 o 30 minuti, dipende dal fuoco 
  6. L’acqua bolle
  7. Prendere la farina di mais, in quantità giusta rispetto all’acqua, né troppo poca né troppa.
  8. Mettere la farina nell’acqua
  9. Aspettare 2 secondi
  10. Prendere un cucchiaio e mescolare con movimento circolare per 5 minuti
  11. Pronto

Ecco. Così adesso anche a casa posso farmi l’ugali anche se non mi piace per niente. Eppure è il piatto preferito di molti, oltre che il più comune perché costa poco.

Questa ricetta non proprio “dettagliata” diciamo, è quella che mi ha dato Saidi il venditore di banane a Kilwa.
Vendendo arance a Kilwa

Vendendo arance a Kilwa

15 Giugno 2012

Quando incontro dei bianchi mi sento particolarmente sporca e puzzolente. Meglio evitare i Wazungo allora, e stare qua coi miei amici africani.

Sono a Kilwa. Per essere precisi Kilwa Masoko. Ce ne sono 3 di Kilwa, che io sappia. Kilwa Kisiwani, un’isola con delle rovine arabe, apparentemente molto interessante, visitabile però solo con un permesso e una guida, e a me non va di sbattermi troppo quindi la salto. Kilwa Kivinje, un paesino sempre con alcuni vecchi edifici arabi e un porticciolo molto animato, che ho visto oggi. E Kilwa Masoko, Kilwa il Mercato, dove non c’è granché ma è l’unico posto dove si può dormire.

kilwa

A Kilwa Masoko sono arrivata ieri verso mezzogiorno dopo un 3 ore su un autobus che ad ogni dosso mi faceva saltare mezzo metro sul sedile. C’era un bambino di 5 anni che pensavo avrebbe vomitato. Invece eroico è rimasto impassibile e composto. Dopo aver lasciato gli zaini alla mia pensioncina da due soldi sono andata a vedere dei resort che sono indicati nella Lonely Planet. Il primo, che sarebbe anche un campeggio, ma bisogna portarsi la propria tenda (se avessero anche affittato tende probabilmente sarei andata lì), è piuttosto trascurato. Non so come facciano a chiedere 85 USD per una notte in una di quelle casette. Poi ce n’è un altro ancora più costoso, con dei bei bungalow (banda) lungo la spiaggia, carino. La bella sorpresa è stata però il Kimbilio Lodge, proprietà di un italiano e gestito da una milanese (e vista con i suoi occhi è stato quando mi son sentita sporca). Non è indicato nella LP perché è piuttosto recente. C’erano due ragazzi italiani ospiti. I primi turisti italiani che incontro. Molto carino come posto. Ci son 6 bungalow mi sembra, proprio in spiaggia praticamente, con un bel giardino e un ristorante con un carinissimo terrazzino a due metri dal mare. Un bungalow costa 60 USD, già scontato (ha sottolineato Elisabetta, prima che chiedessi), e da dividere in due sarebbe proprio un buon prezzo. Il pranzo invece costa 10 USD e la cena di pesce 20. Vabbè, essendo tutto fuori budget per me, ho promesso ad Elisabetta che sarei tornata per una birra, visto che quella almeno me la posso permettere. Per pranzo sono andata in un baracchino a mangiarmi le mie solite patatine con fanta a meno di un euro e son tornata lì per la birra. E quanto me la volevano far pagare? 5000 Tsh! Che son 2.5€, non è tanto, ma in un pub locale costa 1700 Tsh, e nel posto per occidentali più caro che ho visto finora costava 2500. Sarei stata disposta anche a pagare 3000, vista la bella location, ma 5000??!!! Per i visitors. Quelli che alloggiano lì la pagano solo 3000. Beh, ho deciso di rinunciare a quelle belle sedie sul terrazzino e me ne sono andata a leggere 10 metri più in là, sulla sabbia, all’ombra di una palma, con la mia bottiglietta di acqua calda. Anche lì verso le 4 del pomeriggio la spiaggia ha iniziato ad animarsi. Gente che corre e che passeggia. Bello. Un bel mare mosso. Non so se avrei avuto il coraggio di fare il bagno; non c’era nessun altro in acqua, ma questo è piuttosto normale.

La sera ho guardato la partita Italia-Croatia in una “sala tv” del paese, una capanna con due mega-schermi da 16″, messi uno vicino all’altro per non so quale scopo, forse nel caso uno dei due prenda fuoco. Abbiamo dovuto aspettare che tornasse la corrente (in città c’era il classico black-out) ma ho fatto in tempo a vedere entrambi i gol. Sembrava tifassero Italia, sentivo spesso menzionare Balotelli e quando ha segnato Pirlo hanno esultato più di me, ma hanno fatto festa in ugual misura quando la Croazia ha pareggiato. Penso fossero semplicemente tifosi del bel calcio. Sembra che il calcio sia il loro sport preferito. Li vedo spesso giocare, in campi di erba o in spiaggia, e sono piuttosto bravi. 

Oggi sono andata a Kilwa Kivinje. E’ andata più o meno così:

09.30am Appena arrivata mi sono diretta alla German Boma, un edificio di origine araba riciclato dai tedeschi come sede del loro governo locale. Anche Kilwa Kivinje come Mikindani è stata un porto importante nel passato. Ora è un paese di pescatori. Davanti al German Boma c’è il porto, con tante barchette, e sul molo dove mi son seduta io c’è l’angolo dello sballo, dove si gioca a dama, si fuma, si beve whisky e si vende erba. Il tipo che vende l’alcool e l’erba deve fare proprio buoni affari. Alcohol o alcool o alcol alchol? Ma come si scrive? Io sono qua che scrivo e magari pensano che sia una giornalista. Probabilmente se prendo la macchina fotografica per fare una foto alla baia mi assalgono. E infatti mi hanno invitata ad andare via. Ok. Vado a vedere gli altri banchetti, dove c’è chi prepara il chai e chi frigge il pesce appena pescato. Io vengo agganciata da Mahad, che mi accompagna a fare un giro turistico del paese. Quando torniamo alla friggitoria mi prendo due calamari. Sono un po’ troppo salati, ma buoni. Li vedo spesso fare colazione con chai, chapati e carne o pesce. Anch’io ci ho provato qualche volta, ma la carne è sempre troppo dura. Questi calamari invece sono buoni. Mahad mi accompagna a bere un chai in quello che sembra essere la sua seconda casa. Lui gestisce una barca per la pesca, quindi passa tutte le giornate al porto. Deve essere messo bene perché ha una bella camicia e scarpe nuove. Dopo un po’ arriva un ragazzo a piedi nudi ma con dei denti bianchissimi, e siccome mi dice che vorrebbe imparare l’inglese, prendo il mio dizionarietto inglese-swahili e gli correggo la pronuncia mentre legge le frasi in inglese. Mi fa tenerezza il suo perseverare incurante della noia della gente attorno che lo sta ad ascoltare. Se non servisse a me, glielo regalerei quel libriccino. Ramadhani si chiama. Era venuto alla baracchina con un sacchetto pieno di pesci. “Devi averli pagati un bel po’ di soldi!” No, mi spiega Mahad. Li ha chiesti in giro, uno di qua e un altro di là, e la gente glieli ha dati. Che cari! E’ come se fosse stato adottato dalla comunità. I suoi pesci stanno lì, in mezzo al tavolo, e chi vuole se li può prendere. Kivinje mi piace. E’ un paesino tranquillo e la gente è molto simpatica. Ogni tanto viene qualcuno a bere il chai in questa capannina e si mangiano il pesce comprato da un’altra parte.

12h20 Stanno mettendo su il riso e le verdure ora. Sono sempre lì che cucinano e lavano, sedute su uno sgabellino a 5cm da terra, le pentole sul fuoco acceso sulla sabbia. Si mangia circondati da mosche e api, ma nessuno ci fa caso. Mi hanno fatto assaggiare un pezzo di polipo. Buono! Lesso questo. Ah, allora sanno cucinare anche in modo diverso! Finora avevo visto solo pesce fritto. Le donne qui sono molto belle. E anche gli uomini. Ramadhani è bello. Mahad sarebbe carino ma troppo basso per me. Mi chiede se sposerei un africano se me lo proponesse. Beh, sai, dalle mie parti di solito si cerca di conoscere un po’ una persona prima di sposarla… A lui non interesserebbe, perché una Mzungo sarebbe come un bel soprammobile, la gente andrebbe a casa sua solo per vedere la moglie bianca. Un bambino si è mangiato due craften con il tè. Ha pocciato anche le briciole più piccole. Ogni tanto mi spiava da dietro la caraffa. A 5 anni già sembra un ometto, che va da solo al ristorante a prendersi da mangiare. 14h10 Che bello. Sono ormai 3 ore che sto qua a insegnare inglese/imparare Swahili con Ramadhani. Per pagare il riso ha tirato fuori un sacchetto pieno di banconote da 5000 Tsh. Probabilmente ogni tanto fa qualche lavoretto per la gente del porto. Guarda i miei capelli bianchi e ride. Lo avverto che succederà anche a lui fra 10 anni, quando avrà la mia età. No no, a lui cresceranno bianchi quando ne avrà 40.

19h05 Sono al Night Market di Kilwa Masoko. Saidi mi ha trattenuta qui a parlare. Katty Gianfranco mi chiama, perché Piazza gli viene difficile da pronunciare. Del resto lui si è presentato come Saidi Khalifa, e Khalifa è il nome di suo papà. Vende banane. Spera di riuscire a vendere tutto il banchetto prima delle 22, quando chiude il mercato. Peccato che domani vado via, sennò mi insegnerebbe come cucinare l’ugali. Già, peccato. Sono seduta sulla panchina vicino a Saidi, un tipo arriva e mi chiede quanto costano le arance. Le chunga più piccole mia moja, quelle più grandi mia mbili. Penso che avrei successo come fruttivendola qui. 

Alcune abitudini dei Tanzaniani mi piacciono. Per esempio ho scoperto che bevo molto volentieri un bel bicchiere di latte caldo la sera. E’ stato la mia cena, con due crapfen. Ho già mangiato la mia razione di riso per pranzo oggi. Mangio anche un’arancia, ringrazio Saidi e me ne vado a letto. Domani l’autobus per Dar Es Salaam è alle 5 del mattino. Finiranno mai queste levatacce??

Lindi, ancora

Lindi, ancora

12 Giugno 2012

Sono ancora a Lindi. L’oceano mi ha trattenuta. Dovrei partire domani ma non so se ce la faccio. Anche Kilwa, la mia prossima destinazione, è sull’oceano, ma qui sto in una guest house che si affaccia proprio al mare, è troppo bello uscire la mattina e trovarmi in spiaggia.

lindi

Ho passato la giornata a cazzeggiare. Alle 6.30 ero sveglia, come al solito. Dopo colazione sono andata a fare una passeggiata su una collina qua vicino per vedere Lindi dall’alto. Molto carina, le case tra le palme e la baia in lontananza. Poi mi son rifugiata per 3 ore in un pub a leggere. Ho bevuto due fante. Forse per questo continuo ad avere un pancione, bevo troppe bibite gasate.

La spiaggia è stata semi deserta per tutta la giornata. Ma verso le 4.30 del pomeriggio comincia ad animarsi. Non fa più tanto caldo e la gente che finisce di lavorare va a farsi una passeggiata in spiaggia. C’è chi gioca a calcio, chi corre, chi va in acqua a prendere dei pesci con le mani, ci sono barchette che tornano e vendono il pesce, c’è il solito gruppo che canta e prega. Son qui seduta che li guardo tutti. Finché aspetta che gli arrivi la palla, un ragazzo balla. Le donne vorrebbero partecipare all’asta del pesce ma il richiamo della musica è troppo forte. Non riescono a stare ferme. Il direttore dell’asta non sembra tanto scocciato perché si mette a ballare pure lui. Sembrano posseduti. Qualcuno chiede qualcosa alle donne, e queste rispondono continuando a ballare e cantare. Si mettono un cesto di pesci in testa e continuano a ballare verso casa.

Una bambina si mette le mani davanti agli occhi per non guardarmi. Devo farle proprio paura. Probabilmente qui c’è il giochino “avete paura della donna bianca?” “sìììì!!!” “la volete?” “nooooo!!!” e via tutti a scappare. Ora mi spia dalle fessure tra le dita. Mi è capitato anche di far piangere un bambino. Più lo avvicinavano a me e  più lui strillava. Poverino… Intanto di là continuano con i loro gospel. Mi invitano a partecipare al loro trenino, ma stavolta mi sa che sto qua a guardare. Mi si avvicina Emmanuel: “God Loves You!”. J mi spiega che vengono in spiaggia a fare i gospel dalla domenica al martedì. Domenica mattina se voglio c’è la messa nella chiesa in collina. Bello questo modo di pregare, con canti e balli, tanta eccitazione e partecipazione. Deborah e Sabrina ora mi tengono compagnia. Quando capisco i loro nomi vuol dire che sono cristiani.

E’ arrivato un ragazzo che vende chungwa, arance. Non ne ho voglia, ma ne prendo una a testa per i miei amici. Mano a mano che pela un’arancia arriva qualche altro bambino. Alla fine son dieci arance, divise tra una ventina di bambini, e io son rimasta senza (nel frattempo a vedere loro con le loro arance succose mi era venuta voglia). Facciamo qualche foto, ma c’è sempre qualcuno che fa le boccacce, non capisco questo vizio che hanno….

tramonto a lindi in tanzania

Ormai è buio. Vado in città per un po’ di riso e verdure. Mi convincono anche a prendere un succo di passion fruit, sicuramente è allungato con l’acqua e probabilmente mi verrà il cagotto. Torno alla guest house e il ragazzo in portineria mi vuol parlare. Vuole insegnarmi un po’ di swahili. Che caro! Se trovassi qualcuno che mi insegna swahili durante il giorno starei qua molto volentieri. Si arriva alle solite domande. Lui ha 24 anni e non è sposato. Non lo può fare, la sua vita è troppo brutta. Prima deve diventare il boss. Da portiere di notte a boss, spero non gli ci voglia troppo tempo!

21hrs, Na kwenda kulala (vado a dormire). Quanto bello è ?????