Tibetani in esilio

Tibetani in esilio

5 Ottobre 2010

Ho appena comprato un braccialetto e una collanina da una rifugiata tibetana. Ci sono campi/villaggi per profughi tibetani vicino a Pokhara, che intendo visitare domani. Dopo la repressione da parte della Cina della rivolta del 1959, molti tibetani, compreso il Dalai Lama, la loro guida spirituale, hanno dovuto lasciare la loro patria. Sono dispersi in tutto il mondo, ma molti stanno in Nepal, altri a Dharamsala, nel nord dell’India (dove anche il Dalai Lama vive).

Io non è che avessi bisogno di altri braccialetti, i miei polsi son già piuttosto affollati, e non erano neanche tanto economici, rispetto alla media nepalese, ma è un modo per aiutarli. Da T3 o Accessorize comunque un braccialetto costerebbe di più, e questi almeno so che sono stati fatti a mano con pazienza e cura e so di aver aiutato qualcuno a sfamarsi.

Se solo avessi più soldi comprerei regali per tutti … (= si accettano donazioni) 😉
Magari quando sarò ricca tornerò qui e farò una bella spesa, ok?

ciao

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Cronaca da Bandipur

Cronaca da Bandipur

24 Settembre 2010

C’è la luna piena a Bandipur. Bello. Soprattutto quando si viene da Kathmandu, dove non si vede niente a causa della cappa creata dall’inquinamento.

Un paesino bucolico sulle colline Nepalesi con ragazzi che giocano a calcio in infradito, alberi giganti, pannocchie messe ad asciugare.

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Guesthouse a Bandipur

Questa guest house è fenomenale. Mi sembra di vivere un’esperienza nel passato, al tempo in cui i miei genitori erano piccoli. Soffitto e porte sono in legno. Il pavimento è in terra battuta (boh, si dice così? Ho sentito parlare di “ferro” battuto, ma terra? ma E’ terra battuta). Ci sono ragni giganteschi che mi aspettano fuori dalla porta (e spero continuino ad aspettare fuori). Il bagno è uno sgabuzzino sul retro della casa, con un buco sul pavimento (con del cemento attorno però, piuttosto moderno). Non c’è lo sciacquone, ma un secchio con un pentolino. Credo che si possa usare la stessa acqua per lavare il pavimento o sé stessi dopo i bisogni, rigorosamente con la mano sinistra (con la destra si mangia e si stringono mani). Sopra la doccia un contenitore che raccoglie l’acqua piovana. Niente doccia per me stasera. La doccia fredda mi fa venire il mal di testa. Mi sono lavata alla nepalese. C’è sto quadrato di cemento in mezzo a una stanza, e due contenitori di acqua. Uno sembra più pulito dell’altro, quindi ho immaginato che il primo fosse per faccia e denti, il secondo per i piedi. Niente di particolarmente fuori dall’ordinario. Dopo aver visto uomini arzilli belli insaponati, nudi come mamma li ha fatti (solo un po’ più panciuti magari) lavarsi nel Lhasa River in Tibet, poco mi potrà sorprendere ancora. Anche in Nepal si lavano per strada. Lungo i ruscelli, se fuori città, o alle fontane pubbliche che ci sono in giro per le strade (come visto a Kathmandu). Interessante. Non sono fontane come le intendiamo noi, tipo la Trevi a Roma. Mi vien da dire che son tipo dei bagni romani, anche se non so perché, non so se nell’antica Roma avessero dei luoghi simili. Beh, son degli spiazzi di circa 10 x 10 metri, un paio di metri sotto il livello della strada, con un lavandino nel mezzo. La gente ci va per prendere secchi d’acqua per la giornata o per lavarsi. Un sacco di donne che si lavavano i capelli ho visto. E’ anche un luogo di incontro, dove i vicini scambiano due chiacchiere mentre aspettano il loro turno.

bandipur

Ho scordato di raccontare un aneddoto interessante sul viaggio tra Kathmandu e Bandipur. Eravamo su un microbus, che ha posto per 20 persone circa. Tutti schiacciati. La strada seguiva il fiume Trisuli, era tutta curve e gli autisti qui guidano all’impazzata. Risultato: 3 persone vomitavano. Nei loro bei sacchettini. In Italia l’autista si sarebbe fermato a far prendere aria. Non qui, non c’è tempo. La tizia davanti a me quando ha finito di vomitare ha alzato il suo bel sacchetto, mezzo pieno di liquido giallognolo. Il problema è che sto sacchetto aveva un buchino, e mentre lo buttava dal finestrino (alla faccia della plastica non biodegradabile) un schizzino di vomito mi ha colpito. Stranamente non aveva un brutto odore, quindi non mi ha dato particolarmente fastidio. Ha cominciato a preoccuparmi un po’ di più quando ha messo la testa parzialmente fuori dal finestrino, lì il rischio era molto più alto! Ma fortunatamente le è passato in fretta. Un’altra tizia una fila più avanti ha passato l’ultima mezz’ora con la testa dentro il suo sacchetto. Boh.

A Bandipur ho conosciuto il primo italiano di questo viaggio. Da Torino. Viaggia da 10 mesi. Ha ancora un 3-4 mesi davanti a lui, che passerà tra il Bangladesh, Iran e Medio Oriente. Interessante. Anzi, ora lo aggiungo a Facebook. (n.d.r. ora è diventato un fotografo abbastanza conosciuto, Luca Vasconi; in effetti fa delle foto pazzesche, ha una sensibilità particolare).

Ok, powercut. Sono le 23 e qualcosa e qui non c’è più elettricità. Ora di andare a dormire.

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Kathmandu

Kathmandu

Diario dai primi giorni in Nepal

26 Settembre 2010

Il secondo giorno a Kathmandu abbiamo noleggiato uno scooter e una moto con Lee. Siamo usciti da Kathmandu e abbiamo guidato fino a Dakshinkali, un tempio induista su una collina. E’ stato bello andare in giro in moto. Finalmente un po’ di aria fresca. Sfortunatamente era domenica. Perché il tempio è dedicato a Kali, una dea assetata di sangue, e il sabato si può assistere ad una processione in cui galline, anatre, capre e maiali vengono offerti alla dea, uccisi e scuoiati lì e poi cotti alla griglia. Sembra interessante. Anche se si è vegetariani. E’ comunque una tradizione importante per loro.

Dakshinkali temple in Kathmandu
Dakshinkali temple in Kathmandu

Tornati a Kathmandu corpi e vestiti erano coperti di polvere e inquinamento. Beh, mi ci sto abituando. E’ lo stesso quando si viaggia in autobus, con i finestrini sempre aperti (perché ovviamente non esiste l’aria condizionata). La sera ci siamo trovati con J, e Lee ha portato all’appuntamento due vecchie conoscenze, due messicani un po’ strani che avevamo conosciuto a Chengdu, China. 19 anni, stanno viaggiando per 6 mesi prima di cominciare l’università. Uno parla giapponese e cinese, oltre ad un inglese perfetto ovviamente. L’altro è un esperto nel preparare le macedonie di frutta, tagliando banane, papaya, mango e dragon fruit con l’attenzione certosina di un intagliatore.

Lunedì siamo andati tutti insieme a fare rafting sul Trisuli, un fiume che va da Pokhara a Kathmandu. E’ stato piuttosto noioso. Avevo già fatto rafting in Cile da qualche parte, e ricordo che per tutto il tempo avevo paura di cadere in acqua, tra le forti correnti e le rocce. Le due ore sul Trisuli sembravano non finire mai. Sembrava più una crociera che un rafting. Potevamo quasi giocare a carte. Ogni tanto c’era un momento avvincente, con grosse onde che ci coprivano, ma durava poco. Comunque a quanto pare ho bevuto abbastanza acqua del fiume da farmi venire un po’ di cagarella. Quindi martedì non ho fatto niente, relax.

Mercoledì già mi era passato e Hilde e io siamo andate a Swayambhunath, il tempio delle scimmie. Su una collinetta, è sia buddista che induista. Lungo la scalinata per arrivare al tempio ci sono orde di scimmie che ti camminano attorno e sopra la testa (sulle piante, e bisogna anche sperare che non ti piscino in testa!). Erano bruttine, ma meno spaventose di quelle del Monte Emei, vicino a Chengdu. Là erano molto più grandi con la faccia di un vecchio cattivo, e attaccavano i turisti. A Swayambhunath stavano tra di loro a coccolarsi e spulciarsi. Erano quasi carine.

Swayambhunath, monkeys temple in Kathmandu
Swayambhunath, monkeys temple in Kathmandu

Mentre eravamo a Swayambhunath a leggere la Lonely Planet, un paio di bambini si sono seduti vicino a noi. Avranno avuto 5 anni. Volevano una rupia o due. Poco dopo altri due ragazzi sui 14 anni si sono avvicinati, e ci hanno chiesto se avevamo una rupia per i ragazzini più piccoli. Chiaramente quelli più piccoli lavoravano sotto la protezione e il controllo di quelli più grandi.

Non mi aspettavo questa brutta situazione per i ragazzi in Nepal. Vicino al Thamel c’è una zona dove durante il giorno i ragazzini dormono per terra. La notte sono in giro a spacciare e fare altri loschi lavori. Con le prime luci del giorno sniffano colla fino a stordirsi. Fanno una gran pena. Ci sono organizzazioni che li potrebbero accogliere, ma probabilmente preferiscono la loro indipendenza, per quanto misera.

Beh, dopo il tempio delle scimmie siamo andate a Durbar Square (Durbar significa palazzo in nepalese). E’ la principale piazza di Kathmandu, piena di templi e palazzi interessanti. Altre Durbar Squares interessanti sono a Patan e Bhaktapur. Quel giorno a Kathmandu c’era un festival importante, l’Indra Jatra. Indra era un dio ariano della pioggia, che era stato arrestato a Kathmandu mentre rubava un fiore per la madre. Durante la festa un tizio con un’immensa parrucca rossa che impersonava Indra correva di qua e di là per la piazza per scappare dalla massa di gente che lo doveva catturare.

Celebrating Indra Jatra in Kathmandu
Celebrating Indra Jatra in Kathmandu

Nel frattempo una lunga processione di macchine di vari ambasciatori arrivava al palazzo reale per assistere allo spettacolo da un bel terrazzo. Ho pure visto il presidente del Nepal, anche se non so quale fosse fra i tanti. A un certo punto Kumar Devi, una ragazzina impubere che è una dea vivente (fino al suo primo ciclo, poi un’altra ragazzina prenderà il suo posto), è stata trasportata su un trono in giro per la città. Kumar Devi non lascia mai la sua abitazione tranne in rare occasioni (tra cui questa) e i suoi piedi non toccano il suolo. Interessante la massa di gente colorata sugli scalini del tempo, venuta ad assistere.

indra jantra


Per la sera abbiamo deciso di stare sull’economico. Un piatto di spaghetti cinesi a 50 centesimi in uno di quei ristorantini locali (più è sporco e più è saporito, dice Lee) e una bottiglia di vodka al supermercato, da bere sul tetto della nostra guest house.

Quel giorno poi siamo andate a Patan, che ormai è diventata parte di Kathmandu, separata solo da un fiume. Una città antica. Interessante girovagarci e perdersi nel labirinto delle sue vie e passaggi nascosti. Con una bella Durbar Square, che abbiamo visto un po’ velocemente, evitando i personaggi che volevano farci pagare l’entrata di 2 euro (beh, possono anche sembrare pochi 2 euro, ma io ci faccio ben 4 pasti!!). Templi e statue dappertutto. E “courtyards”, piazzole nascoste all’interno di stradine minuscole, dove si entra solo a piedi, circondate da case. Originali. Riservano le sorprese più belle. Girovagando ci intrufolavamo in questi vicoli che portavano a una piazzetta da cui partiva un altro vicoletto che collegava a un’altra e via così. Una sorta di labirinto nascosto alle macchine. Curioso.  

E la sera al ritorno a Kathmandu abbiamo cenato in un altro ristorantino locale, in compagnia di due bimbi super simpatici, e poi relax in un locale occidentale con internet dove una sprite è costata 2 volte la mia cena. Addio a Lee. Mi mancherà.

Kathmandu è una città particolare. Un casino per il traffico. Se restavo qualche giorno in più penso che avrei fatto cadere qualche motorista. Non sopportavo più di sentirmi il clacson dritto nei timpani tutto il tempo. E un casino girarci. Ho imparato giusto quelle due vie intorno al Thamel, la zona più turistica, abbastanza per riuscire a tornare alla guest house dove stavo. E’ piuttosto cara anche, per essere Nepal. Una birra costa quasi 2 euro, per dire. Si trova però cibo per strada a pochi centesimi (e sempre a un prezzo “turistico”, di solito il doppio o un terzo in più rispetto a quello che paga la gente del posto; cosa che comunque rispetto, visto che pochi nepalesi son fortunati come noi e si possono permettere di viaggiare). Adoro i “momo”, dumplings himalayani; con 30 centesimi te ne danno 10. Buon snack. E ci sono supermercati apposta per turisti, con prodotti occidentali (a prezzi occidentali). Niente succo di frutta per me a Kathmandu, costa troppo.    

patan
Patan

La mia compagna di stanza e compagna di viaggio degli ultimi 10 giorni ha il raffreddore e continua a “tirare su” con il naso. Alla cinese. Glielo devo ricordare che siamo in Nepal e non più in Cina? Comunque la convivenza sta diventando pesante. Ma ho bisogno di qualcuno con cui fare trekking sui monticelli qua vicini chiamati Himalaya, più qualcuno con cui dividere le spese nel Parco Nazionale e poi posso finalmente tornare sola. Probabilmente anche lei non vede l’ora. Chi mi conosce sa che quando comincio a infastidirmi so essere piuttosto antipatica e insopportabile… C’era invece sto altro compagno di viaggio, un inglese di 28 anni, dal quale non mi sarei mai staccata. Troppo piacevole starci insieme. Una di quelle persone che non parla tanto per parlare, che sa che a volte il silenzio ci può stare, e che quando apre bocca è quasi sempre per dire qualcosa di interessante. O se dice qualcosa di stupido è comunque uno stupido che fa ridere. E non ripetitivo. Ecco. Sto comparandolo a ‘ste altre due tipe con cui ho viaggiato in Tibet. Logorroiche. Scusa se mi metto le cuffie e mi ascolto la mia musica, ma mi serve una pausa.    

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Prossima fermata: Bandipur.

Primi giorni in Nepal

Primi giorni in Nepal

25 Settembre 2010

Una settimana fa passavo il confine. Divertente pensare che in 5 minuti a piedi siamo tornati indietro di due ore e 15 minuti (il Nepal ha sto orario strano, non so perché. Quando in Italia sono le 19.00 qui sono le 22.45). Sembrava di viaggiare nel tempo, oltre che nello spazio. Tra l’altro un controllo di passaporto alquanto inusuale a Kadari. Se uno non si preoccupa di recarsi allo sportello, si potrebbe entrare in Nepal senza timbro (e non so cosa succederebbe al momento di uscire visto che comunque c’è bisogno del visto per stare qui).

BACKPACKING IN NEPAL

Primo giorno in Nepal e già iniziava l’avventura. Anzi, parlerò al plurale, visto che ero con Lee e Hilde (con i quali ho girato il Tibet). Sapevamo che c’era un autobus che da Kadari porta a Kathmandu (con cambio di bus a Barabise). Eravamo ben contenti di aspettare l’autobus per un paio di ore, così da pagare sui 2.5 euro per l’intero viaggio anziché i 5 euro richiesti per un passaggio in 4×4 (cosa non si fa per risparmiare 2 euro quando si viaggia al risparmio!).

Dopo un’oretta di attesa abbiamo scoperto che non ci sarebbe stato nessun autobus perché una recente frana (che ho scoperto essere piuttosto frequente in Nepal) aveva interrotto la strada e reso impossibile l’arrivo dell’autobus. Così nostro malgrado abbiamo dovuto ricorrere alla jeep. Di cui data la mancanza di bus hanno aumentato la tariffa a 8 euro a persona. Vabbé. Per una volta, se non ci sono alternative, si può fare. Poco dopo Barabise, a un’ora e mezza dalla partenza, con altre 4 ore di fronte, un’altra frana ha bloccato la via. Per un po’ abbiamo aspettato, ne abbiamo approfittato per mangiare il nostro primo curry nepalese, e poi il driver ci ha informati che causa un masso troppo grosso che la gru non riusciva a spostare, avremmo dovuto prendere i nostri zaini, camminare oltre la frana e prendere un bus dall’altra parte verso Kathmandu.

Ok. Un po’ eccitante camminare sotto la frana fresca fresca, con i sassi ancora in movimento, ma tutto ok.

travel photography

La frana che ci ha costretti a cambiare mezzo di trasporto in Nepal

La parte divertente viene quando l’autobus per Kathmandu si presenta, pieno di gente (come c’era da immaginarsi, visto che c’era una fila di qualche chilometro di bus e jeep nella nostra stessa condizione), e così ci consigliano di salire sul tetto del bus. Non eravamo soli. Anzi, c’era un bordello di gente lì sopra.

All’inizio panico. Pensavo che sarebbe stata la nostra morte, che un balzo su una delle mille buche che tormentano le strade nepalesi o una curva troppo secca accentuata dal guidare pazzo di sta gente, ci avrebbe scaraventati giù dall’autobus.

E invece è stata un’esperienza meravigliosa. Vista a 360° dei monti verdissimi e delle risaie, scambio di saluti con la gente in strada che bada ai propri affari (quasi tutti hanno un negozietto o comunque vendono qualcosa lungo la strada), chiacchiere con i nuovi amici nepalesi. Di cui ho capito che non so dare l’età. Un ragazzino che pensavo avesse 16 anni in realtà ne aveva 26. Con moglie e bimbo da qualche parte. Ho anche imparato i numeri dall’uno al dieci (ma ricordo solo ek, dui, tin) e preso un sacco di acqua (la stagione delle piogge non è ancora finita qui). Comunque una volta che la pioggia cessava nel giro di cinque minuti eravamo asciutti.

Dopo 4 ore così, con il culo a righe bianche e blu (le assi di ferro che servono per portare i bagagli non sono state proprio gentili con i nostri posteriori) siamo finalmente arrivati a Kathmandu che era notte (6.30 pm ma buio pesto e stanca che mi sembrava fossero le due, anche per via del fuso orario).

Trovata guest house da 2.5 euro a notte e a letto. Prima però Facebook. Finalmente dopo quasi un mese in Cina dove Facebook è oscurato, son riuscita a “riconnettermi con il mondo”. E chiamata skype con i miei (n.d.r. era il 2010, ancora non c’era whatsapp).

Secondo giorno a Kathmandu. Mattina passata ad assaporare il gusto di avere internet in camera, cercando di caricare le foto di un mese in internet, con la connessione così lenta che ha dimostrato che la mia capacità pazientizia è molto migliorata. Pomeriggio in giro per il Thamel.

Kathmandu
Kathmandu

Next stop: Kathmandu.